Alzheimer, avanti con la ricerca per trovare una cura

VEB

Nelle scorse ore anche noi abbiamo dato la notizia: Pfizer, colosso farmaceutico americano, ha abbandonato la lotta contro il Parkinson e l’Alzheimer dopo ingenti investimenti che non hanno portato i risultati attesi.

La Pfizer avrebbe deciso di investire altrove, su altri campi di ricerca, le proprie risorse. Gli sforzi di trovare un ‘antidoto’ alla demenza che colpisce decine di milioni di persone nel mondo sono stati costosi ma futili, ha spiegato la società, che ha quindi deciso di abbandonare la strada intrapresa. Lo stesso destino toccherà anche alla ricerca contro il Parkinson, per il quale non è stato ancora trovato un trattamento risolutivo.

Una notizia che ha lasciato l’amaro in bocca, dato i numeri di ammalati che continua a crescere fin troppo vertiginosamente.

Nel mondo ci sono 46,8 milioni di persone affette da una forma di demenza, cifra destinata quasi a raddoppiare ogni 20 anni. I nuovi casi di demenza sono ogni anno oltre 9,9 milioni, vale a dire un nuovo caso ogni 3,2 secondi. Rispetto al 2010, si è registrata una crescita del 35 per cento, mentre in Italia si stima che la demenza colpisca 1.241.000 persone.

Ammontano a 818 miliardi di dollari, invece, gli attuali costi sia di natura economica che sociale che fanno riferimento alla demenza, anche se ci si aspetta che questi possano raggiungere i 1000 miliardi di dollari in soli tre anni.

Ma attenzione: la ricerca del colosso farmaceutico Pfizer si ferma, ma non quella di tante altre realtà scientifiche, che sono da anni al lavoro e continuano imperterrite, finché un farmaco o una cura non verrà trovata.

Alzheimer, avanti con la ricerca per trovare una cura

Alzheimer, avanti con la ricerca per trovare una cura

Questa è anche la rassicurazione fatta dal dottor Marco Antonio Bellini, responsabile di A.Cro.Poli.S, (acronimo che sta per Assistenza alla CROnicità nella POLIpatologia a Siena), ambulatorio attivo presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese, che si occupa appunto di pazienti cronici con polipatologie.

Quella di Pfizer è una brutta notizia che desta preoccupazione perché viene meno l’apporto di un’azienda importante che ha sempre fatto ricerca in questo campo, ma la ricerca scientifica non può essere solo appannaggio delle aziende, che, ovviamente ragionano secondo la logica del profitto. Quello che secondo me la ricerca dovrebbe fare è cercare di individuare precocemente quei soggetti che poi svilupperanno queste malattie: non si può pensare di curare tutti senza aver prima compreso i meccanismi della malattia. E questo mi sembra un obiettivo realistico per la ricerca in Italia e nel mondo. Ci sono degli studi volti all’individuazione dei biomarcatori, ce n’è uno che partirà a breve, si chiama “Interceptor”, finanziato dal Ministero della Salute, che dovrebbe coinvolgere 400 volontari sani, sui 50 anni, che saranno monitorati per un certo periodo di tempo raccogliendo dati che ci potrebbero dare informazioni importanti sullo sviluppo della malattia appunto. E la sensazione che si ha nel mondo scientifico è che non siamo troppo lontani da questi risultati, sono alla nostra portata”, spiega l’esperto.

Senza contare che  trial in corso sono tanti, con farmaci che si chiamano aducanumab (forse quello più avanti nelle sperimentazioni), poi il gantenerumab e il crenenzumab e altri ancora il sigla: Cad 106 e Cnp 520, che agiscono con meccanismo diversi.

La ricerca, dunque, è in fermento e la speranza deve essere l’ultima a morire.

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