Carne rossa, mangiarne troppa aumenta il rischio di diverse patologie

VEB

Se in Italia, come nel resto del mondo, è in costante aumento il numero di vegetariani e vegani, di coloro che eliminano dalla propria alimentazione gli alimenti di origine animale e dei loro derivati, è indubbio che sono ancora tantissimi coloro che proprio non riescono a fare a meno di una buona bistecca, considerando una grigliata un piacere a cui proprio non si riesce a rinunciare.

Se certamente la carne rossa non va demonizzata, e contiene sostanze che fanno bene all’organismo, il consumo eccessivo fa male: l’Oms lo ripete da anni ormai, ed arriva anche una nuova ricerca a sottolineare come il troppo consumo di carne rossa aumenta il rischio di diverse patologia anche mortali.

Dal cancro alle malattie del cuore, ictus, malattie cerebrovascolari, malattie respiratorie, diabete mellito, infezioni, malattie renali e malattie epatiche croniche: il consumo di carni rosse, lavorate e non, aumenta il rischio di mortalità legata a numerose malattie.

Lo conferma lo studio condotto dal National Cancer Institute di Bethesda che ha preso in considerazione i dati di una grande indagine chiamata NIH-AARP, su sei stati (California, Florida, Louisiana, New Jersey, North Carolina e Pennsylvania) e due grandi aree metropolitane degli Stati Uniti (Atlanta e Detroit). L’analisi è durata ben 16 anni e ha coinvolto oltre 536.969 americani adulti di età compresa tra i 50 e i 71 anni.

Le persone prese in esame sono state suddivise in cinque gruppi, a seconda di quanti grammi di proteine della carne mangiavano in media ogni mille calorie. I dati hanno dimostrato che via via che aumentavano i grammi di carne, crescevano malattie e decessi.

Tra i responsabili di questo effetto, secondo i ricercatori, vanno inclusi il ferro eme delle carni rosse e i nitriti/nitrati di quelle processate. Altri aspetti coinvolgono le sostanze cancerogene che si producono durante alcuni tipi di cottura (segnatamente quelle alla griglia), come amine eterocicliche e idrocarburi aromatici policiclici, contaminanti dei mangimi animali, nonché un ridotto consumo di frutta e verdura.

Lo studio, però, spiega anche che se si introducono proteine animali che derivano da carni bianche e non lavorate e dal pesce, il rischio scende e anche di molto.

Nello stesso studio, il dottor John D. Potter, professore di epidemiologia presso l’Università Massey, in Nuova Zelanda, afferma anche che la distruzione della foresta pluviale e le emissioni di gas serra collegati all’industria della carne sono più dannose per il pianeta persino rispetto ai carburanti fossili utilizzati per il trasporto.

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