Fecondazione assistita, una storia lunga quarant’anni

VEB

In queste ore si festeggia un traguardo importante per la storia della medicina moderna: il 25 luglio del 1978 veniva alla luce l’inglese Louise Brown, prima bambina in provetta.

La venuta al mondo di Louise fu salutata come un evento fino a quel momento inimmaginabile tanto che e a Robert Edwards, padre della fecondazione in vitro, fu conferito il Nobel per la Medicina nel 2010.

La fecondazione artificiale o assistita è l’insieme delle procedure mediche che consentono di ottenere una gravidanza in quelle coppie che non riescono a concepire spontaneamente, dopo almeno un anno di rapporti sessuali liberi e non protetti.

Tramite la tecnica di fecondazione assistita è possibile unire gamete maschile e gamete femminile (ovvero spermatozoo e ovocita) in modo artificiale.

La fecondazione omologa consiste nell’unione di seme ed ovulo che appartengono alla stessa coppia, in maniera artificiale. In questo caso, il nascituro avrà lo stesso corredo genetico di mamma e papà che sono ricorsi a questa tecnica. La fecondazione eterologa, invece, consiste nell’utilizzo di un gamete esterno alla coppia, seme o ovulo, per cui si ricorre alla donazione di un soggetto anonimo, per far fronte al problema vero e proprio di infertilità di uno dei soggetti della coppia.

Secondo le stime Eshre, oltre mezzo milione di bimbi nascono ogni anno dalle tecniche di procreazione medicalmente assistita (pma) Ivf (In vitro fertilisation) e Icsi (l’iniezione diretta di un singolo spermatozoo all’interno del citoplasma dell’ovocita), come risultato di più di 2 milioni di cicli di trattamenti di pma effettuati.

In Europa, è la Spagna il Paese più attivo sul fronte della procreazione medicalmente assistita: nel 2015 sono stati 119.875 i cicli di trattamenti effettuati; seguono Russia (110.723 cicli), Germania (96.512 cicli) e Francia (93.918 cicli).

In 10 anni, sono circa 100mila, solo in Italia, i bimbi nati in provetta grazie alla Procreazione Medicalmente Assistita (pma).

Tuttavia, ancore troppo poche sono le coppie infertili che, prima di intraprendere questo cammino non semplice, si rivolgono a un andrologo: appena una su quattro, come spiegano gli esperti della Società Italiana di Andrologia (SIA), proprio in occasione dell’importante anniversario.

Per far venire al mondo gli oltre 100 mila bambini summenzionati, sono state però necessarie oltre mezzo milione di procedure di fertilizzazione in vitro: questo vuol dire che, ancora oggi, nonostante il continuo miglioramento delle tecniche, la probabilità di riuscita delle procedure di PMA è inferiore al 50%.

Un altro problema essenziale è anche però dove si punta l’attenzione: quando non si riesce ad avere un figlio, si pensa sempre che sia un problema della donna, quando sempre più spesso non è così, e quindi solo 60mila delle 250.000 coppie con problemi di fertilità ‘ricordano’ di fare diagnosi e cura di lui, una su 4.

“L’infertilità maschile – spiega Alessandro Palmieri, presidente SIA e professore dell’Università Federico II di Napoli – è raddoppiata negli ultimi 30 anni e il fattore maschile è sovrapponibile a quello femminile, tanto che si stimano circa 2 milioni di italiani ipo-fertili. Ciò nonostante, mentre a volte, ci si accanisce nell’individuazione e trattamento delle cause femminili, spesso si tralascia del tutto l’altra metà della coppia”.

Interventi poco complessi e costosi, come la correzione del varicocele, la cura di infiammazioni urogenitali, l’uso di terapie ormonali o di molecole antiossidanti, conclude, “potrebbero evitare la PMA in almeno 8mila coppie ogni anno o migliorarne gli esiti fino al 50% dei casi”.

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