Oggigiorno molti tumori possono essere debellati grazie alla chemioterapia, ma è indubbio che questo tipo di trattamento ha anche non pochi effetti indesiderati.
Nelle donne, ad esempio, la chemioterapia potrebbe danneggiare le ovaie e quindi causare modifiche ai livelli ormonali circolanti, che possono condurre a problemi come secchezza vaginale e menopausa precoce.
Tutti i chemioterapici possono danneggiare le ovaie, ma alcuni possono avere effetti più pesanti sulla fertilità. Rientrano tra questi ciclofosfamide, melphalan, busulfano, le mostarde azotate, clorambucile, procarbazina, cisplatino, tuttora usati nel trattamento dei tumori della mammella, dell’apparato genitale e dei linfomi.
Anche l’irradiazione della pelvi o dell’addome danneggia le ovaie o determina alterazioni vascolari o danni muscolari a carico dell’utero e quindi può compromettere la fertilità, ma tali effetti dipendono dalla dose erogata e dal suo frazionamento, dal campo di irradiazione e dall’età della paziente.
In modo simile, la radioterapia per il trattamento di un tumore cerebrale può compromettere la fertilità in quanto influisce sulla secrezione degli ormoni che la regolano prodotti nell’ipotalamo e nell’ipofisi.
Ma, per fortuna, la scienza sta facendo passi da gigante e per ovviare ai problemi di infertilità soprattutto nelle donne che devono sottoporsi a questi trattamenti, ora si punta verso la realizzazione di un ovaio artificiale umano: per la prima volta le strutture che racchiudono gli ovociti immaturi sono state isolate e fatte crescere su un’impalcatura di tessuto ovarico privato delle sue cellule, finché sono state in grado di funzionare.
L’incredibile risultato è stato ottenuto dal Laboratorio di Biologia riproduttiva del Rigshospitalet di Copenhagen.
Non si può ancora parlare di ovaio artificiale, almeno in senso stretto, ma la direzione è quella giusta e Susanne Pors ha presentato i primi eccellenti risultati: lei e il suo gruppo hanno isolato per la prima volta e fatto poi crescere un follicolo umano prelevato a uno stadio molto precoce da tessuto congelato fino a farlo arrivare al punto definito di biofunzionalità.
Questo follicolo è stato fatto crescere in una struttura bioingegnerizzata, appunto una sorta di ovaio artificiale, costituito da tessuto ovarico decellularizzato, senza quindi le cellule che lo costituivano. Ed è la prima volta che un follicolo umano, che è un ovocita ancora immaturo, è riuscito a sopravvivere in un modello bioingegnerizzato.
“E’ una prova di concetto per preservare la fertilità delle donne che devono affrontare cure che potrebbero comprometterla”, ha spiegato Susanne Pors.
In ambito medico, il prelievo di ovociti o di tessuto ovarico prima di sottoporre una donna a cure che danneggiano la sua fertilità è prassi ma il rischio è che la malattia possa “passare” in cellule e tessuti e che si possa rimanifestare successivamente.
“Eliminare le cellule dal tessuto ovarico congelato e trasferire in esso follicoli vitali potrebbe evitare il rischio di reintrodurre cellule maligne potenzialmente presenti nel tessuto originale”, ha spiegato l’esperta.
La Danimarca è uno dei paesi dove il congelamento di tessuto ovarico – ancora considerato sperimentale – è diventato metodo accettato di preservazione della fertilità e rimborsato dal sistema sanitario.
“Congeliamo non solo tessuto da pazienti oncologiche ma anche di altre donne che per altre condizioni hanno bisogno di radiazioni o chemioterapia. Stimiamo che circa l’80 per cento di tutte le pazienti danesi potrebbe trarre giovamento dai nostri studi. Abbiamo congelato tessuto di 1100 pazienti, il più alto numero di attività in Europa per popolazione”.
Gli esperimenti sono stati fatti con il tessuto ovarico prelevato da donne che avevano voluto conservarlo prima di affrontare una terapia antitumorale. Il primo passo è stato eliminare le cellule presenti nel tessuto per mezzo di un processo chimico della durata di tre giorni.
E’ stata poi ottenuta una sorta di impalcatura, nella quale sono stati reimpiantati i follicoli. In seguito l’ovaio artificiale così ottenuto è stato trasferito in un topo, dimostrando di sostenere la crescita delle cellule uovo, con un rischio molto ridotto di trasferire cellule maligne.
I primi test sull’uomo, però, “richiederanno ancora molti, molti anni”.