Luigi Tenco, quell’assurdo suicidio del 27 gennaio 1967

VEB

Luigi Tenco canta nella serata clou del Festival di  Sanremo il brano straordinario “Ciao amore ciao”, poi torna nella sua stanza d’albergo e si toglie la vita: era il 27 gennaio 1967.

Sono trascorsi 50 anni da quel giorno in cui l’Italia intera è stata scossa dalla notizia del suicidio del grande cantautore Tenco.

Un suicidio che per anni è stato considerato assurdo. Non si capiva il perché di un gesto che spiazzò tutti e che ancora oggi appare inspiegabile.

Che cosa successe nella mente di Luigi Tenco? La sensibilità e la vena malinconica del cantautore la potevamo ritrovare nelle sue canzoni, peraltro dolcissime e intense.

Non a caso Tenco divenne per i giovani contemporanei l’icona della sensibilità e della trasgressione al contempo.

Tanto che per il sociologo Marco Santoro la sua morte creò nelle nuove generazioni di allora un trauma collettivo e la “fabbricazione di un nuovo genere musicale e culturale in senso ampio – la canzone d’autore – e, insieme, la consacrazione di un’unità culturale e professionale, quella del cantautore”.

Tenco ci ha lasciato in eredità canzoni senza tempo come “Vedrai vedrai”, “Mi sono innamorato di te”, “Lontano lontano”, “Ragazzo mio” e tante altre ancora.

La stessa “Ciao amore ciao”, canzone scartata al Festival di Sanremo, è un brano straordinario, forse troppo avanti per quei tempi.

Tempi in cui il festival nazionale si svolgeva sul palco del Casinò di Sanremo presentato da Mike Bongiorno e Renata Mauro.

Tempi in cui si cantava in coppia e Luigi Tenco cantava con la grande Dalida, cantante italiana nata in Egitto e vissuta a Parigi con la quale aveva una relazione sentimentale.

Tempi i cui la giuria a un brano struggente e vero come “Ciao amore ciao” si sceglie una canzonetta come “La rivoluzione” e a due voci meravigliosamente calde come quelle di Tenco e Dalida, si sceglie quella del tutto normale di Gianni Pettenati.

E a questi tempi Tenco decide di voltare le spalle. Torna nella stanza 219 dell’Hotel Savoy di Sanremo e saluta il mondo a modo suo, privandoci per sempre della sua musica e della sua poesia.

Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda Io tu e le rose in finale e a una commissione che seleziona La rivoluzione. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi”.

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