Parkinson, scoperta una proteina convolta nella genesi della patologia

VEB

Il Parkinson è una malattia neurodegenerativa, ad evoluzione lenta ma progressiva, che coinvolge, principalmente, alcune funzioni quali il controllo dei movimenti e dell’equilibrio. La malattia fa parte di un gruppo di patologie definite “Disordini del Movimento” e tra queste è la più frequente.

Colpisce in modo indistinto i due sessi e può esordire a qualsiasi età, anche se, in prevalenza, i sintomi si riscontrano in pazienti sopra i 60 anni, raramente in pazienti sopra i 40 e in casi rarissimi in persone più giovani.

Le strutture coinvolte nella malattia di Parkinson si trovano in aree profonde del cervello, note come gangli della base (nuclei caudato, putamen e pallido), che partecipano alla corretta esecuzione dei movimenti.

Le cause non sono ancora note. Sembra comunque che vi siano molteplici elementi che concorrono al suo sviluppo. Questi fattori sono principalmente genetici, legati alla mutazione di alcuni geni quali  alfa-sinucleina (PARK 1/PARK 4), parkina (PARK-2), PINK1 (PARK-6), DJ-1 (PARK-7), LRRK2 (PARK-8) e la glucocerebrosidasi GBA, ma anche ambientali, come l’esposizione  a tossine quali alcuni pesticidi (per esempio il Paraquat) o idrocarburi-solventi.

I principali segni della malattia sono: tremore a riposo, rigidità, bradicinesia einstabilità posturale. Nonostante la malattia coinvolga principalmente le funzioni che controllano la mobilità, spesso compromette anche le funzioni emozionali e psichiatriche. Da qui la frequente compresenza di problematiche quali depressione e demenza.

Con la progressione della malattia, i sintomi motori aumentano di gravità e si manifestano problemi di equilibrio, coordinazione, compromissioni non motorie e comorbidità.

Ma una vera rivoluzione potrebbe venire da una recentissima scoperta: i ricercatori dell’Università degli Studi di Brescia, coordinati dalla professoressa Arianna Bellucci, hanno scoperto la proteina che media il danno cerebrale alla base della malattia di Parkinson.

Al momento non esiste nessuna cura per la malattia di Parkinson anche se esistono numerosi tipi di trattamento, che rendono possibile gestire i sintomi in modo efficace per molti anni, consentendo al paziente di condurre una vita relativamente normale.

Insieme a ai ricercatori di Padova, di Lund in Svezia e all’Istituto Italiano di Tecnologia, coordinato da Arianna Bellucci, con uno studio pubblicato su Acta Neuropathologica, gli studiosi bresciano hanno scoperto che spegnere geneticamente la proteina sinapsina 3 nei topi previene l’accumulo di depositi fibrosi, veri e propri detriti che sono uno dei meccanismi alla base della malattia di Parkinson.

«I risultati dello studio, finanziato dalla Michael J. Fox Foundation – spiegano dall’ateneo – hanno dimostrato che l’assenza di sinapsina 3 blocca la formazione dei depositi proteici cerebrali che innescano la morte dei neuroni dopaminergici del sistema nigrostriatale, processo alla base dell’insorgenza dei sintomi motori della malattia».

Arianna Bellucci, che insegna Farmacolgia presso l’ateneo bresciano, spiega che i ricercatori si sono chiesti se tale proteina potesse avere un ruolo nella patogenesi della malattia e se quindi potesse essere utilizzata come un nuovo bersaglio terapeutico.

La stessa Bellucci sottolinea quindi che sulla base dei risultati ottenuti la modulazione della Sinapsina 3 effettivamente potrebbe rappresentare una strategia terapeutica innovativa per quanto riguarda la cura di questo disordine neurodegenerativo.

“Attualmente” – ha chiosato la Bellucci – “il nostro gruppo di ricerca sta lavorando intensamente in collaborazione con un team internazionale di ricercatori al fine di sviluppare nuovi approcci terapeutici attivi su Sinapsina 3. Questi ultimi permetterebbero, infatti, di curare i pazienti agendo sulle cause primarie della malattia e non soltanto alleviando i sintomi”.

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