Tumore addominale, a Messina asportato uno di ben 11 kg

VEB

Un intervento incredibile, portato a termine con successo grazie alla grande professionalità dell’equipe medica che non si è risparmiata e ha compiuto un’impresa destinata a restare nella storia del Policlinico dove è stata effettuata.

Mello specifico, al Policlinico universitario di Messina, è stato asportato un tumore addominale del peso di ben 11 chili.

La donna, una sessantanovenne, è stata già dimessa in ottime condizioni generali.

L’intervento è stato effettuato da un’équipe guidata dal prof. Antonio Macrì, responsabile del Programma Interdipartimentale per la Cura dei Tumori Peritoneali e dei Sarcomi dei Tessuti Molli dell’ospedale universitario.

L’intervento, durato circa sei ore, ha richiesto l’esecuzione di resezioni multiviscerali e ha consentito la rimozione completa del tumore.

“Si tratta – ha spiegato il professore Macri’ – di un caso estremamente raro, anche se non il primo da noi operato, sia per la sua natura istologica (sarcoma retroperitoneale gigante), ma, soprattutto, per le dimensioni che la neoplasia aveva raggiunto e per la diffusione in alcune regioni anatomiche difficilmente raggiungibili, con coinvolgimento di grossi vasi, rene, intestino, peritoneo, muscoli, ossa e strutture nervose”.

L’intervento è stato svolto nell’ambito del Programma Interdipartimentale per la Cura dei Tumori Peritoneali e dei Sarcomi dei Tessuti Molli, nato il primo aprile 2018 grazie alla sinergia tra l’Università di Messina e l’Azienda Ospedaliera Universitaria “G. Martino”.

Quello che però ci tengono a sottolineare gli esperti, per l’ennesima volta, è l’importanza della prevenzione: se la donna si fosse fatta controllare prima, non si sarebbe mai arrivati ad avere un tumore dalle dimensioni così notevoli”.

Sembra incredibile che nell’era della prevenzione – sottolinea Macrì – ci si trovi ancora a trattare tumori di queste dimensioni, ma la sede di origine e le modalità di diffusione fanno sì che tali tumori diano segno di sé solo in fasi avanzate. Dobbiamo trovare strategie più efficaci – continua il chirurgo – per promuovere l’educazione sanitaria e coinvolgere sempre più persone nei programmi di screening, in modo da ridurre il numero di tumori in stadio avanzato e, comunque, in questi casi, è fondamentale affidarsi a Centri dedicati al trattamento di tali patologie”.

Ricordiamo che, quando si sospetta la presenza di un cancro, vengono eseguita una serie di esami per confermare la diagnosi e acquisire più informazioni sulla malattia. Ogni esame contribuisce fornendo un determinato tipo di informazione. Ad esempio, la TAC può fare una “fotografia” dell’intero organismo o di parti di esso (testa, torace, addome, ecc.), ma sarà la valutazione al microscopio di una parte di tessuto raccolto con una biopsia a definire il tipo delle cellule tumorali.

Per confermare la presenza e localizzare il tumore vengono utilizzati metodi diagnostici ad elevata tecnologia che producono immagini. Queste metodiche, tuttavia, non sempre possono distinguere se il tumore è benigno o maligno.

La biopsia invece permette un giudizio definitivo sulla natura cancerosa delle cellule, ma è una pratica invasiva e pertanto la si effettua solo dopo avere eseguito esami meno invasivi che abbiano confermato il sospetto iniziale circa la presenza di un tumore.

In generale, in una prima fase, il tumore, costituito da una piccola massa di cellule, non determina alcun sintomo. Man mano che cresce, la sua presenza effettiva può intaccare i tessuti circostanti. Alcuni tipi di tumore, inoltre, secernono determinate sostanze o scatenano reazioni immunitarie che causano sintomi in altre parti del corpo che non si trovano in prossimità del tumore.

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