Un recente studio ha iniziato a svelare cosa avviene nella nostra mente negli istanti che precedono la morte, offrendo una spiegazione scientifica a quelle che vengono comunemente definite “esperienze di pre-morte”. Contrariamente a quanto si possa pensare, il cervello non si spegne passivamente, ma scatena un’incredibile tempesta di attività.

La tempesta neurochimica del cervello
Quando il corpo si trova in una condizione critica, come durante un arresto cardiaco, il cervello entra in una fase di iperattività. Un team di scienziati dell’Università di Liegi, come descritto in uno studio su Frontiers in Human Neuroscience, ha evidenziato come questa reazione sia dovuta a un massiccio rilascio di neurotrasmettitori. L’alterazione dell’equilibrio chimico cerebrale innesca una cascata di eventi neurologici che sono alla base delle intense esperienze riportate da chi è sopravvissuto.
Sostanze come serotonina, dopamina e noradrenalina inondano i circuiti neurali. Il rilascio di questi neurotrasmettitori genera le visioni e le sensazioni tipiche delle esperienze di pre-morte. Ad esempio, l’attivazione dei recettori della serotonina 5-HT2A può indurre stati di coscienza simili a quelli provocati da sostanze psichedeliche, spiegando visioni come i tunnel di luce o gli incontri con persone care.
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Un meccanismo di difesa ancestrale
Questa intensa attività cerebrale non sarebbe casuale, ma potrebbe rappresentare un meccanismo di sopravvivenza evolutivo. In situazioni estreme in cui la fuga o il combattimento sono impossibili, il cervello attiverebbe uno stato dissociativo. Questo processo protegge l’individuo dalla percezione del dolore e dal trauma del mondo esterno, mantenendo attiva solo una forma di coscienza interiore.
Secondo il Dr. Jimo Borjigin, neuroscienziato dell’Università del Michigan, “la scoperta di un’attività cerebrale così marcata e organizzata in un cervello morente suggerisce che abbiamo sottovalutato la capacità del cervello di generare esperienze complesse anche in prossimità della morte”. La sensazione di euforia e calma, spesso descritta, potrebbe essere legata al rilascio di endorfine, oppioidi naturali che agiscono come potenti analgesici. L’esperienza, vissuta come estremamente reale, lascia un ricordo vivido nonostante lo stato di incoscienza clinica.
Questo campo di ricerca getta nuova luce sulla complessità della coscienza umana e sul confine, ancora poco compreso, tra la vita e la morte, offrendo una prospettiva scientifica a fenomeni da sempre avvolti da un alone di mistero e spiritualità.
Per approfondire ulteriormente le complesse dinamiche del cervello umano e le neuroscienze della coscienza, puoi visitare siti autorevoli come la Society for Neuroscience o consultare pubblicazioni specializzate come Nature Reviews Neurology.
FAQ
Cosa sono le esperienze di pre-morte (NDE)? Le NDE sono esperienze psicologiche profonde vissute da persone in punto di morte o che hanno subito un arresto cardiaco. Spesso includono sensazioni di distacco dal corpo, euforia, visioni di luci intense o incontri con figure spirituali, generate da un’intensa attività neurochimica nel cervello.
Quali sostanze chimiche sono coinvolte in queste esperienze? Durante una NDE, il cervello rilascia un cocktail di neurotrasmettitori, tra cui serotonina, dopamina, noradrenalina ed endorfine. Queste sostanze alterano la percezione e la coscienza, creando le vivide allucinazioni e le intense sensazioni emotive riportate da chi le vive.
Le esperienze di pre-morte sono uguali per tutti? No, sebbene ci siano elementi ricorrenti come il tunnel di luce o il senso di pace, le esperienze variano notevolmente da persona a persona. Le differenze culturali, le credenze personali e la specifica condizione fisiologica del cervello influenzano la natura e il contenuto di queste visioni.
Questi studi negano una possibile dimensione spirituale della morte? La ricerca scientifica si concentra sulla spiegazione dei meccanismi biologici e neurochimici che generano queste esperienze. Non si propone di confermare o smentire le interpretazioni spirituali o religiose, ma di fornire una comprensione basata su dati osservabili dei processi cerebrali durante la fase di transizione.
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