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Accusata di omicidio con una scansione mentale

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Nel 2008, un caso giudiziario in India ha sollevato interrogativi etici e scientifici a livello internazionale: una giovane donna, Aditi Sharma, è stata accusata di omicidio non sulla base di prove fisiche, ma a causa dell’attività elettrica del suo cervello. Secondo quanto riportato dal Mail Online, si tratta di una delle prime applicazioni giudiziarie al mondo di una tecnologia neuroscientifica chiamata Brain Electrical Oscillation Signature Profiling (BEOS).

Accusata di omicidio con una scansione mentale

Che cos’è il BEOS e come funziona

Il BEOS, sviluppato nel 1999 dal neuroscienziato K. R. Mukundan, è un metodo basato sull’elettroencefalografia (EEG) che registra le onde cerebrali di un sospettato mentre ascolta frasi correlate a un crimine. L’obiettivo? Identificare una reazione neurologica che indichi la familiarità o il coinvolgimento con i fatti descritti.

Nel caso di Sharma, durante il test le furono pronunciate frasi come: “gli ha puntato un coltello al collo”. Le risposte cerebrali furono interpretate come segni di conoscenza diretta del crimine, nonostante l’assenza di impronte digitali, DNA o testimoni oculari. Questi segnali neurologici sono stati ritenuti sufficienti per contribuire al verdetto di colpevolezza.


Controversie e preoccupazioni etiche

Secondo la Direzione per le scienze forensi dell’India, il BEOS ha una precisione dichiarata del 90%, ma presenta un margine d’errore significativo: nel 5% dei casi analizzati il test ha erroneamente indicato la colpevolezza di individui innocenti. Questo margine solleva allarmi critici, soprattutto in ambito giudiziario.

Numerosi esperti internazionali mettono in dubbio la validità scientifica del BEOS. Organizzazioni per i diritti umani sottolineano inoltre il rischio che tale tecnologia violi il diritto alla privacy cognitiva, specialmente quando applicata senza consenso.

Nel 2010, la Corte Suprema dell’India ha stabilito che test neurologici come BEOS, poligrafi e test antidroga possano essere condotti solo su base volontaria, riaffermando la necessità del consenso esplicito del soggetto coinvolto. Tuttavia, la tecnologia continua a essere utilizzata in centri di analisi forense, tra cui la National University of Forensic Science, operativa dal 2008.


Un futuro incerto per la neurotecnologia legale

Nonostante le controversie, l’interesse verso l’applicazione delle neuroscienze in ambito giudiziario è in crescita. Alcuni paesi europei – tra cui Italia, Slovenia e Paesi Bassi – stanno esplorando l’utilizzo della neurotecnologia per fini forensi, ma il dibattito sull’etica e sulla regolamentazione delle “scansioni mentali” è più vivo che mai.

L’avvocato e accademico Owen Jones, esperto in diritto e neuroscienze, avverte che un utilizzo incauto di tali strumenti potrebbe condurre a gravi errori giudiziari: “Se questi dati non sono affidabili, possono portare a conclusioni sbagliate e compromettere la giustizia stessa”, ha affermato in un’intervista al New Scientist.


Verso una regolamentazione internazionale?

Mentre la tecnologia BEOS continua a essere discussa nei tribunali e nei laboratori, il bisogno di norme giuridiche globali per l’utilizzo delle neuroscienze nella giustizia penale si fa sempre più urgente. La possibilità di leggere – o peggio, interpretare – la mente, non è più solo materia da fantascienza, ma una realtà concreta che deve essere affrontata con rigore scientifico ed equilibrio legale.

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