Tutti gli esseri viventi emettono una forma di luce estremamente debole e invisibile a occhio nudo: si tratta dell’Ultra-Weak Photon Emission (UPE), un fenomeno di biofisica che sta attirando sempre più l’attenzione della comunità scientifica per le sue sorprendenti implicazioni nel campo della salute e della diagnostica.

Cos’è l’UPE: luce invisibile prodotta dal metabolismo cellulare
A differenza della più nota bioluminescenza — come quella dei pesci abissali o delle lucciole — l’UPE non dipende da reazioni chimiche con molecole esogene (come la luciferina). Piuttosto, è il risultato di reazioni metaboliche naturali che coinvolgono stress ossidativo e processi biochimici interni. I fotoni emessi, pur essendo estremamente deboli, coprono un ampio spettro che va dagli ultravioletti (UVA) alla luce visibile fino al vicino infrarosso (IR), tipicamente tra 350 e 1300 nanometri.
Secondo uno studio pubblicato su Scientific Reports da ricercatori dell’Università di Pavia e dell’Institute of Health and Biomedical Innovation di Brisbane, l’UPE è rilevabile in cellule vive di batteri, piante, animali e persino nel corpo umano, e può essere un indicatore diretto del livello di attività metabolica e di stress cellulare.
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UPE e stress ossidativo: un nuovo approccio diagnostico
Il fenomeno è direttamente collegato ai processi ossidativi: quando le cellule subiscono stress — ad esempio per infezioni, tossine o infiammazioni — producono più specie reattive dell’ossigeno (ROS), che generano una maggiore emissione di fotoni. È per questo che l’UPE viene studiata come potenziale biomarcatore non invasivo per diagnosticare precocemente numerose condizioni, come patologie neurodegenerative, tumori, infiammazioni croniche o danni da radicali liberi.
Uno degli studi più citati in questo ambito, pubblicato su Nature Photonics, ha evidenziato come la distribuzione spaziale della luce UPE nei tessuti possa riflettere con precisione i livelli di stress ossidativo, rendendola uno strumento promettente per il monitoraggio in tempo reale di malattie e risposte fisiologiche.
Tecnologia e ricerca: come si rileva la luce ultra-debole
Grazie ai recenti progressi tecnologici, oggi l’UPE può essere rilevata in modo sempre più preciso grazie a strumenti sofisticati come i tubi fotomoltiplicatori a basso rumore e le telecamere CCD ad alta sensibilità. Questi dispositivi consentono non solo di registrare l’intensità dei fotoni emessi, ma anche di mappare la distribuzione spaziale della luce su superfici biologiche.
Tali tecnologie, impiegate in laboratori avanzati come quelli dell’Università di Kyoto o del Max Planck Institute, aprono la strada a nuove metodologie di diagnosi e monitoraggio sia in campo medico che ambientale.
Applicazioni future: medicina, agricoltura e sostenibilità
Oltre all’ambito clinico, l’UPE trova applicazione anche nella fisiologia vegetale. Può infatti essere utilizzata per monitorare lo stato di salute delle piante, rilevando con anticipo segnali di stress da agenti patogeni, salinità, erbicidi o inquinamento. Questo aspetto è particolarmente rilevante nel contesto del cambiamento climatico e della sostenibilità ambientale.
In conclusione, lo studio dell’Ultra-Weak Photon Emission rappresenta una frontiera affascinante della biofisica moderna, capace di connettere la luce alla vita in modi ancora tutti da esplorare. Le sue potenzialità in campo diagnostico, agricolo e ambientale potrebbero rivoluzionare il nostro approccio alla salute, rendendo sempre più vicina l’era delle diagnosi luminose e non invasive.
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