Declino cognitivo, pressione bassa e diabete sono predittori efficaci

VEB

Col termine demenza si intende un deterioramento delle capacità intellettive e dell’apprendimento e relativi problemi della memoria, spesso associato anche ad alterazioni del comportamento, che impedisce a chi ne soffre di svolgere le più comuni attività quotidiane, mantenere normali relazioni interpersonali produttive, comunicare e condurre una vita autonoma.
Tutte le forme di demenza sono legate alla presenza di un danno cerebrale che può instaurarsi in modo acuto (come nel caso dell’ictus) oppure accumularsi gradualmente nell’arco di decenni e iniziare a rendersi evidente quando viene superata una certa “soglia”, oltre la quale le parti del cervello ancora sane non sono più in grado di compensare le funzioni cognitive venute meno a causa delle lesioni.
In questo secondo caso, si parla di declino cognitivo associato all’invecchiamento.
Oltre all’età superiore ai 60 anni, i principali fattori di rischio per lo sviluppo del declino cognitivo sono la predisposizione genetica, il fumo, la depressione la sedentarietà e la mancanza di stimoli intellettivi e sociali.
Ma a quanto pare anche pressione bassa, forte perdita di peso e alti livelli di zuccheri nel sangue, quando si manifestano intorno alla mezza età, sono indicativi di un possibile declino mentale.
A dirlo i risultati di uno studio su Jama Psychiatry secondo cui, infatti, queste problematiche sono collegate al manifestarsi, anni più avanti, del declino di capacità mentali.
I ricercatori dell’Università di Bordeaux hanno studiato per 14 anni 785 pazienti con demenza (68,4% con Alzheimer e 20,6% con demenza vascolare) e 3.140 persone senza malattia. Hanno così verificato che rispetto al gruppo di controllo, le persone con demenza presentano un declino dell’indice di massa corporea molti anni prima della diagnosi, intorno ai 55 anni, che potrebbe essere una conseguenza della malattia sottostante.
Inoltre gli stessi pazienti presentavano livelli bassi della pressione sanguigna, in particolare la pressione arteriosa sistolica, e questo può anche generare, secondo i ricercatori, l’ipoperfusione, ovvero la riduzione del flusso sanguigno, che può aumentare il rischio di declino cognitivo.
Stesso discorso riguardo la glicemia, che si presentava anche 14 anni prima dell’inizio del suddetto declino.
“I risultati – ha quindi commentato la prima autrice Maude Wagner – sottolineano che il controllo della glicemia, la pressione bassa e la perdita di peso potrebbero essere componenti chiave della gestione della salute cardiovascolare per la prevenzione primaria e secondaria della demenza degli anziani”.
Ricordiamo che risultati simili, soprattutto per quanto riguarda la pressione, erano emersi anche in un altro precedente studio.
In particolare sono emersi i medesimi risultati da una recente analisi retrospettiva dei dati provenienti da due grandi trial, l’ONTARGET e il TRANSCEND, condotti su oltre 24.000 pazienti con cardiopatia ischemica, vasculopatia periferica o vasculopatia cerebrale, e quindi ad elevato rischio cardiovascolare.
Gli autori hanno valutato l’ipotesi che la pressione arteriosa sistolica e la frequenza cardiaca media, nonché la loro variabilità durante le visite mediche successive nel corso del follow-up, potessero avere una correlazione con l’insorgenza o il peggioramento delle funzioni cognitive, e i dati hanno confermato le loro ipotesi.
Per molti anni, l’interesse verso la variabilità pressoria si è limitata alle variazioni della pressione arteriosa che avvengono nel periodo delle 24 ore e nella differenza tra valori diurni e notturni, ma studi più recenti hanno documentato che anche la variabilità pressoria a lungo termine, osservata in visite differenti nell’intervallo di mesi o anni, è un importante predittore di eventi ed in particolare di ictus cerebrale nei pazienti ipertesi.

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