Un’importante ricerca condotta dalla Florida State University ha sfidato una delle credenze più diffuse in ambito medico-sociale: il matrimonio protegge dalla demenza senile. I risultati, ottenuti da un’indagine durata ben 18 anni su oltre 24.000 individui, suggeriscono che le persone non sposate — tra cui single, divorziati e vedovi — presentano un rischio significativamente più basso di sviluppare demenza rispetto ai loro coetanei sposati.

Lo studio nel dettaglio
Pubblicata sul Journal of Gerontology: Psychological Sciences, l’analisi si è concentrata su soggetti con un’età media di 71,8 anni, privi di diagnosi di demenza all’inizio del periodo osservativo. I ricercatori hanno osservato che:
- Il 21,9% dei coniugati e vedovi ha sviluppato forme di demenza.
- Solo il 12,8% dei divorziati e il 12,4% dei single ha ricevuto una diagnosi simile.
Lo studio ha tenuto conto di molteplici variabili, tra cui livello d’istruzione, predisposizione genetica (come il gene APOE ε4), depressione, abitudini di vita (come fumo o obesità) e condizioni croniche, senza riscontrare significative alterazioni nei risultati.
Cosa c’è dietro questi dati?
Gli autori avanzano diverse ipotesi:
- Diagnosi precoce nei coniugati: le persone sposate vengono diagnosticate più frequentemente grazie all’osservazione del partner.
- Maggiore rete sociale nei single: chi vive da solo potrebbe coltivare relazioni più variegate e significative, stimolando maggiormente le capacità cognitive.
- Qualità del matrimonio: solo le relazioni stabili e appaganti sembrano offrire una protezione cognitiva. Lo conferma anche uno studio indipendente della Stony Brook University (New York), che ha rilevato un declino cognitivo più lento nei divorziati, accompagnato da un aumento di benessere soggettivo post-rottura.
Cosa dice la scienza esterna
Ricerche precedenti avevano suggerito che la vita coniugale potesse offrire benefici legati a un maggiore supporto emotivo e stabilità, come riportato da fonti autorevoli tra cui l’Alzheimer’s Association (alz.org) e Harvard Health Publishing (health.harvard.edu). Tuttavia, questo nuovo studio suggerisce che tali benefici non sono universali e dipendono fortemente dalla qualità della relazione.
Cosa possiamo imparare
Il messaggio chiave è chiaro: non è lo stato civile in sé a influenzare la salute cognitiva, ma piuttosto la qualità della vita relazionale e sociale. In un’epoca in cui l’invecchiamento della popolazione è in costante aumento, comprendere i veri fattori protettivi contro la demenza diventa sempre più cruciale per la sanità pubblica.