Il rapporto tra creatività umana e intelligenza artificiale sta rapidamente passando dalla teoria all’esperienza concreta. Oggi, strumenti come ChatGPT, Google Gemini o Claude non sono più solo assistenti tecnici, ma iniziano a diventare co-autori, partner e stimolatori di idee. Ma la domanda resta: davvero l’IA è in grado di potenziare la nostra creatività?

Uno studio recente condotto da ricercatori della Penn State University e dell’Università di Aarhus fornisce nuove risposte empiriche a questo interrogativo. L’esperimento ha coinvolto 263 studenti, ai quali è stato chiesto di scrivere due racconti brevi: uno autonomamente, l’altro con l’ausilio di ChatGPT-3.5.
Collaborazione uomo-IA: quando funziona davvero?
I risultati sono stati analizzati tramite un modello di valutazione automatizzata della creatività, con una particolare attenzione al tipo di interazione tra studente e AI. Le storie scritte con il supporto di ChatGPT sono risultate mediamente più originali, ma solo in un caso specifico: quando gli studenti utilizzavano l’IA per generare nuove idee, non per riformulare o correggere testi già esistenti.
In altre parole, l’intelligenza artificiale non migliora la creatività se viene trattata come un correttore ortografico evoluto. Al contrario, il suo potenziale emerge quando viene coinvolta nel momento generativo, ossia nella fase in cui si costruisce il nucleo narrativo.
Un rischio chiamato “omogeneità creativa”
Lo studio evidenzia però anche una controindicazione importante. Sebbene le storie co-create risultassero più originali in media, presentavano meno varietà tematica rispetto a quelle scritte autonomamente. Questo suggerisce che usare sempre lo stesso modello linguistico può portare a una convergenza creativa, dove molte storie finiscono per assomigliarsi, anche inconsapevolmente.
Ciò accade perché i modelli generativi tendono a proporre idee culturalmente più sicure, statisticamente frequenti e meno rischiose dal punto di vista narrativo. La creatività, invece, spesso nasce proprio dalla deviazione dalla norma, dall’errore, dall’inaspettato.
Il focus si sposta dal “cosa” al “come”
Un aspetto originale dello studio è che non si è limitato a valutare il prodotto finale, ma ha analizzato anche il processo di interazione tra umano e macchina. I prompt sono stati classificati in due categorie:
- Prompt genetici (generazione di nuove idee);
- Prompt di elaborazione (modifica di idee esistenti).
Solo i primi hanno mostrato un impatto reale sull’originalità del testo. Questo ribalta la narrativa comune: non è l’IA in sé a essere creativa, ma il modo in cui viene usata dall’essere umano a determinare il risultato.
Verso una creatività aumentata, non sostituita
Più che sostituire l’autore, l’IA sembra dunque in grado di espandere il campo delle possibilità creative, agendo come catalizzatore o provocatore concettuale. Questo apre la strada a una nuova forma di creazione “co-inventiva”, dove immaginazione umana e calcolo computazionale collaborano in tempo reale.
Come evidenziato da Harvard Business Review, il futuro della creatività non sarà dominato né dall’uomo né dalla macchina, ma da una nuova alleanza narrativa tra i due.
Fonti autorevoli consultate
- Nature – Human–AI collaboration in creative writing
- Penn State University – Newsroom
- Harvard Business Review – AI and Creativity
- World Economic Forum – AI as a creative partner
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