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Eruzione vulcanica e Peste Nera: il legame svelato

Angela Gemito Dic 5, 2025

La storia della più devastante pandemia mai registrata dall’umanità si arricchisce di un capitolo inaspettato, scritto non nelle cronache dei monasteri, ma negli anelli degli alberi secolari e nei ghiacci perenni. Per decenni, storici e scienziati hanno analizzato la Peste Nera concentrandosi sulla biologia del batterio e sulla sporcizia delle città medievali. Oggi, una nuova ricerca ribalta la prospettiva, puntando il dito verso il cielo e il sottosuolo: un evento geologico di portata globale potrebbe aver innescato la sequenza fatale di eventi che portò alla morte di oltre metà della popolazione europea.

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L’impronta invisibile nel ghiaccio e nel legno

Fino a poco tempo fa, l’origine dell’improvvisa virulenza della Peste Nera a metà del XIV secolo rimaneva parzialmente avvolta nel mistero. Il patogeno era presente tra gli esseri umani da millenni, eppure rimase latente o localizzato per lungo tempo. Cosa scatenò l’inferno proprio nel 1347? La risposta arriva da uno studio congiunto dell’Università di Cambridge e del Leibniz Institute for East European History and Culture, pubblicato sulla prestigiosa rivista Communications Earth & Environment.

Gli studiosi hanno adottato un approccio multidisciplinare, incrociando dati che apparentemente non avrebbero nulla in comune. Hanno esaminato i livelli di zolfo intrappolati nelle carote di ghiaccio dell’Antartide e della Groenlandia e analizzato gli anelli di crescita di migliaia di alberi europei. I risultati hanno evidenziato un’anomalia sorprendente: un picco di attività vulcanica tropicale registrato intorno al 1345.

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Non si trattò di una semplice eruzione, ma di un evento cataclismatico. Il vulcano, ancora non identificato con precisione ma situato nella fascia tropicale, immise nell’atmosfera quantità massicce di gas, zolfo e ceneri. Questa coltre invisibile agì come uno schermo solare, riflettendo la luce e alterando i delicati equilibri meteorologici dell’emisfero settentrionale. La conseguenza immediata fu un drastico cambiamento climatico che colpì l’Europa meridionale, portando a un abbassamento delle temperature e a precipitazioni anomale.

Il clima come motore della storia

Le ripercussioni di questo inverno vulcanico non si fecero attendere. Per tre anni consecutivi, l’Europa subì estati fredde e insolitamente umide. In un’economia basata quasi esclusivamente sull’agricoltura, questo significava una sola cosa: disastro. I raccolti marcirono nei campi, i prezzi dei beni di prima necessità schizzarono alle stelle e la popolazione, già indebolita, si trovò ad affrontare una carestia diffusa.

È qui che la geologia incontra la politica e l’economia. Le grandi potenze marittime dell’epoca, in particolare le città-stato marittime italiane di Venezia e Genova, si trovarono con i granai vuoti e una popolazione affamata. La necessità aguzzò l’ingegno, ma abbassò anche le difese immunitarie della società.

Per sopravvivere alla crisi alimentare, le repubbliche marinare furono costrette a guardare a Oriente. Stipularono frettolosamente accordi di pace con l’Orda d’Oro mongola, che controllava le vaste steppe e le riserve di cereali della regione del Mar Nero. Nel 1347, un imponente flusso di navi mercantili partì dalle colonie crimeane (come Caffa) diretto verso l’Italia, carico di grano prezioso per sfamare le città.

Martin Bauch, storico del clima e dell’epidemiologia medievale presso l’Istituto Leibniz, offre una lettura affascinante di questa dinamica. Egli sottolinea come le infrastrutture commerciali, create per salvare vite umane dalla fame, siano diventate involontariamente l’autostrada per la morte. Le stive delle navi non trasportavano solo grano, ma anche ospiti indesiderati: ratti e pulci infette dal batterio Yersinia pestis.

La tempesta perfetta: commercio e biologia

L’arrivo delle navi a Messina, Genova e Venezia segnò l’inizio della fine per l’Europa medievale. Le condizioni climatiche umide, generate dall’eruzione vulcanica, avevano probabilmente favorito la proliferazione delle pulci e dei roditori nelle zone di origine, aumentando la carica virale presente al momento dell’imbarco.

L’analisi condotta dal team di ricerca evidenzia come la pandemia non sia stata il frutto di un singolo fattore, ma di una convergenza fatale. Da un lato c’era un ceppo batterico virulento, dall’altro una società europea caratterizzata da un’elevata densità di popolazione e condizioni igieniche precarie. L’elemento catalizzatore, tuttavia, fu proprio quella rete commerciale riattivata per cause di forza maggiore climatica.

Senza la carestia indotta dal vulcano, Venezia e Genova non avrebbero avuto l’urgenza di importare grano massicciamente da territori dove la peste covava sotto la cenere (metaforica e reale). Questo “afflusso imprevisto” di vettori infetti bypassò le naturali barriere geografiche che avevano protetto l’Europa fino a quel momento.

Lezioni dal passato per il futuro

Lo studio non si limita a riscrivere la storia del XIV secolo, ma lancia un monito potente per il nostro presente. Il professor Ulf Büngen, del Dipartimento di geografia dell’Università di Cambridge, ha osservato che la concatenazione di eventi che scatenò la Peste Nera — eruzione, cambio climatico, carestia, commercio, pandemia — potrebbe sembrare un evento raro e irripetibile. Tuttavia, i meccanismi di base sono spaventosamente attuali.

Viviamo in un’epoca di rapido riscaldamento globale e di mobilità umana senza precedenti. La probabilità che emergano nuove malattie zoonotiche (trasmesse dagli animali all’uomo) sta aumentando. I cambiamenti negli ecosistemi spingono la fauna selvatica verso gli insediamenti umani, mentre le nostre reti di trasporto aereo e marittimo possono diffondere un patogeno in tutto il mondo in meno di 24 ore, come abbiamo dolorosamente sperimentato con il COVID-19.

La scoperta del legame tra un vulcano tropicale e la morte di milioni di europei nel Medioevo ci ricorda quanto siamo vulnerabili alle forze della natura e quanto le nostre risposte economiche alle crisi ambientali possano avere conseguenze sanitarie impreviste. Le rotte del grano salvarono l’Italia dalla fame, ma la condannarono alla peste. Oggi, mentre cerchiamo di mitigare gli effetti del cambiamento climatico, dobbiamo considerare le implicazioni sistemiche delle nostre azioni globali.

La Peste Nera non fu solo una tragedia biologica; fu un disastro ecologico e logistico. Riconoscere questa complessità è il primo passo per prepararsi alle sfide che il nostro pianeta, in continua evoluzione, ci presenterà nei prossimi decenni.


Domande Frequenti (FAQ)

Un vulcano ha causato direttamente la Peste Nera? No, il vulcano non ha creato il batterio. L’eruzione ha agito come catalizzatore, provocando un cambiamento climatico che ha causato carestie. Questo ha costretto le potenze europee a importare grano da regioni infette, facilitando il trasporto di ratti e pulci portatori del batterio in Europa.

Come hanno fatto gli scienziati a scoprire l’eruzione del 1345? I ricercatori hanno utilizzato la dendrocronologia (studio degli anelli degli alberi) e l’analisi delle carote di ghiaccio polari. Gli anelli degli alberi hanno mostrato segni di crescita ridotta dovuta al freddo, mentre il ghiaccio conservava tracce di zolfo vulcanico risalenti a quel preciso periodo storico.

Quale ruolo hanno avuto Venezia e Genova nella diffusione? Le repubbliche marinare, per evitare la carestia causata dal maltempo, intensificarono i commerci con il Mar Nero. Le loro navi, cariche di grano necessario per la sopravvivenza, divennero involontariamente il mezzo di trasporto principale per i vettori della peste verso il cuore dell’Europa.

Perché questo studio è rilevante oggi? Lo studio dimostra come i cambiamenti climatici e l’aumento della mobilità umana possano accelerare la diffusione di malattie zoonotiche. Offre un parallelo storico importante per comprendere i rischi delle pandemie moderne, evidenziando la stretta connessione tra salute ambientale, economia globale e salute pubblica.

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Angela Gemito

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Tags: mistero Peste nera vulcano

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