Una tendenza inquietante sta prendendo piede sui social media, sollevando seri interrogativi sull’uso dell’intelligenza artificiale e sulla sua capacità di perpetuare stereotipi dannosi. Video generati da strumenti AI come Veo 3 di Google, che raffigurano donne nere come “Bigfoot”, stanno diventando virali, accumulando milioni di visualizzazioni su piattaforme come Instagram e TikTok. Questi contenuti, spesso a sfondo caricaturale e denigratorio, ripropongono antichi e dolorosi pregiudizi razziali, mascherati da intrattenimento virale.

Dalla curiosità al pregiudizio: l’evoluzione dei “Bigfoot” AI
Inizialmente, Veo 3 di Google, presentato a maggio durante la conferenza per sviluppatori, aveva catturato l’attenzione per la sua capacità di generare video surreali e accattivanti. Personaggi biblici o creature mitologiche come Bigfoot, impegnati in vlog in stile influencer, erano diventati rapidamente un fenomeno virale. Google stessa aveva utilizzato questi video di Bigfoot generati dall’AI come strumento di marketing per promuovere la nuova funzionalità.
Tuttavia, come spesso accade nel mondo digitale, una tendenza apparentemente innocua può essere distorta. I “Bigfoot cattivi” rappresentano proprio questa deviazione: creatori online stanno sfruttando la tecnologia per disumanizzare le donne nere, ritraendole con fattezze animalesche e comportamenti stereotipati. Unghie acriliche, parrucche colorate e un linguaggio volgare caratterizzano queste figure AI, che spesso minacciano violenza o fanno allusioni sessuali inappropriate.
Il peso della storia: un razzismo digitalizzato
Il problema di questi video non è solo la loro bruttezza intrinseca, ma il profondo radicamento in una storia di razzismo. Nicol Turner Lee, direttrice del Center for Technology Innovation presso la Brookings Institution, ha espresso la sua ferma condanna, sottolineando il precedente storico: “C’è un precedente storico dietro al perché questo sia offensivo. Agli albori della schiavitù, le persone nere venivano esagerate nelle illustrazioni per enfatizzare le loro caratteristiche primordiali.” (The Brookings Institution). L’esperta ha definito la disponibilità di tali immagini “disgustosa e inquietante”, evidenziando la facilità con cui questi stereotipi possono essere creati e distribuiti online.
La diffusione di questi video è impressionante: alcuni account Instagram dedicati hanno totalizzato milioni di visualizzazioni in meno di un mese, con numerosi imitatori che ripubblicano o generano contenuti simili su varie piattaforme. Un video ripubblicato ha raggiunto 1 milione di visualizzazioni su una pagina di meme, mentre un altro ha quasi 3 milioni di visualizzazioni su Instagram. Persino su TikTok, un account focalizzato su questi contenuti AI ha superato il milione di “Mi piace”.
Le sfide dell’AI generativa: tra facilità di creazione e mancanza di salvaguardie
La facilità con cui Veo 3 di Google permette di creare scenari completi, audio e personaggi da un singolo input testuale è un fattore chiave nella proliferazione di questi video. Non a caso, alcuni creatori offrono persino corsi online a pagamento per insegnare come realizzare queste clip.
La problematica evidenziata da Meredith Broussard, professoressa alla New York University e autrice di “More Than a Glitch” (MIT Press), riguarda la difficoltà degli sviluppatori di AI nel prevedere tutti i modi in cui la tecnologia può essere usata in modo dannoso. “Uno dei problemi dell’IA generativa è che i creatori di strumenti di IA non riescono a concepire tutti i modi in cui le persone possono essere orribili l’una con l’altra”, afferma Broussard. Questa incapacità porta a una carenza di “barriere di protezione” adeguate, un problema che ricorda le sfide affrontate dalle piattaforme di social media.
Il rischio non si limita alla creazione di singoli video offensivi. Come dimostrato dall’analisi di WIRED, una volta visualizzati alcuni di questi contenuti, gli algoritmi dei feed social tendono a proporre altri video razzisti, creando una camera di risonanza che amplifica ulteriormente il problema.
L’urgenza di una risposta: piattaforme e responsabilità
Di fronte a questa preoccupante tendenza, le grandi piattaforme come Meta (proprietaria di Instagram), Google e TikTok sono chiamate a una maggiore responsabilità. Al momento, le loro risposte sono state limitate o assenti, lasciando spazio a una rapida proliferazione di contenuti discriminatori.
Come ammoniva Jason Parham, redattore senior di WIRED, già nel 2023, analizzando un altro video virale di AI, questa nuova era dell’intelligenza artificiale generativa assume una forma di “menestrello” digitale, capace di manipolazioni sempre più astute e immediate (WIRED).
L’AI, lungi dal rendere solo più facile la manipolazione delle immagini, attraverso i suoi algoritmi e l’ecologia della rete, rende anche più agevole la condivisione e l’aumento del consumo di questi contenuti. La sfida è dunque complessa e richiede un impegno congiunto di sviluppatori, piattaforme e utenti per arginare questa ondata di razzismo digitalizzato e garantire che l’innovazione tecnologica non diventi un veicolo di discriminazione.
Curiosa per natura e appassionata di tutto ciò che è nuovo, Angela Gemito naviga tra le ultime notizie, le tendenze tecnologiche e le curiosità più affascinanti per offrirtele su questo sito. Preparati a scoprire il mondo con occhi nuovi, un articolo alla volta!