Quando si desidera un figlio, la cosa più naturale del mondo è concepirlo col proprio partner, ma questo non sempre è possibile.
Possono intervenire infatti problemi fisici che condizionano la fecondità, ma può anche mancare un partner o l’altro può essere dello stesso sesso.
E allora cosa fare? Le soluzioni sono tante, dall’affidamento all’adozione, passando per la fecondazione assistita e quella in vitro, ma è sempre più diffusa la pratica dell’utero in affitto.
Tecnicamente si parla di maternità surrogata quando una donna accetta di portare avanti una gravidanza per conto di una persona o di una coppia sterile.
Se ne distinguono due forme: quella “tradizionale”, in cui si usa l’ovulo della surrogata, che è così madre biologica del neonato; e quella gestazionale, in cui la surrogata è solo un “involucro”.
In questo caso l’embrione è creato con fecondazione in vitro usando ovulo e seme degli “aspiranti genitori”; ovulo o seme proveniente da una donatrice o un donatore; sia ovulo che seme provenienti da donatori.
La madre surrogata può mettere a disposizione il proprio utero per un fine altruistico o può richiedere un pagamento preventivamente concordato.
A seconda dei paesi, la pratica è incentivata, normata o vietata.
La maternità surrogata è legale in forma “altruistica” in Regno Unito, Irlanda, Danimarca, Belgio, mentre è proibita dietro compenso.
In altri ancora non esiste un preciso quadro legislativo (Svezia). Ci sono nazioni dove la maternità surrogata “commerciale” è legale (alcuni Stati Usa, India, Ucraina, Russia, Georgia).
In Italia l’utero in affitto è vietato dalla legge, punito con la reclusione da 3 mesi a due anni e con multe fissate da 600mila euro a un milione.