L’impiego dell’Intelligenza Emotiva Artificiale (EAI) nei luoghi di lavoro sta crescendo, portando con sé importanti interrogativi. Questa tecnologia, che interpreta segnali fisici e dati da dispositivi indossabili per identificare e anticipare le emozioni umane, è adottata da oltre la metà dei principali datori di lavoro negli USA, in particolare nei settori dei call center, della finanza e della salute.
Nonostante ciò, si levano voci critiche riguardo la sua affidabilità e l’appoggio a teorie emotive discusse.
Ricerche indicano che un terzo dei lavoratori dubita dei vantaggi dell’EAI in ambito lavorativo, evidenziando timori per la privacy, discriminazioni, stigmatizzazioni e impatti negativi sul benessere e sulle condizioni di lavoro.
L’EAI rischia di accentuare le dinamiche di potere in azienda, mettendo i dipendenti in una posizione vulnerabile di essere giudicati e monitorati attraverso algoritmi che possono risultare inaccurati o prevenuti, portando a decisioni lavorative inique.
Questa tecnologia può inoltre aggravare lo stress emotivo sui lavoratori, che si sentono spinti a mascherare le proprie emozioni o adottare comportamenti ritenuti positivi dagli algoritmi, compromettendo produttività e concentrazione.
L’EAI, paragonabile a un sistema panottico, instaura un clima di vigilanza continua, erodendo la fiducia tra datore di lavoro e lavoratori e generando un’atmosfera di timore e diffidenza.
Davanti a queste problematiche, si raccomanda prudenza nell’utilizzo dell’EAI sul lavoro. È fondamentale che i datori di lavoro valutino attentamente pro e contro, implementando strategie per salvaguardare la privacy e contrastare i pregiudizi, mentre i lavoratori dovrebbero essere informati sui possibili rischi associati a questa tecnologia.