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Esistono davvero le persone che portano sfortuna? I casi reali che sfidano la logica

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L’idea che alcune persone portino sfortuna è radicata in molte culture e superstizioni, ma esistono davvero individui associati a tragedie ripetute? Alcuni casi storici e moderni, come quello della famigerata “Mary Tifoide”, sembrano alimentare questo concetto, ma quanto c’è di vero dietro queste storie?

Esistono davvero le persone che portano sfortuna

Il caso documentato di Mary Mallon: quando la sfortuna ha basi biologiche

Conosciuta come Mary Tifoide, Mary Mallon era una cuoca irlandese emigrata negli Stati Uniti nei primi del ‘900. Benvoluta dai suoi datori di lavoro, sembrava portare con sé un’ombra inesorabile: ovunque lavorasse, scoppiavano focolai di tifo. Dopo che diverse famiglie newyorkesi furono colpite, le autorità sanitarie iniziarono a sospettare un collegamento. Nel 1906, fu arrestata e si scoprì che era portatrice sana del batterio Salmonella typhi, il primo caso noto di portatrice asintomatica.

Mary fu messa in isolamento per tre anni, rilasciata con la promessa di non cucinare mai più, ma nel 1915 venne sorpresa a lavorare sotto falso nome in un ospedale colpito da un’altra epidemia. Fu nuovamente internata sull’isola di North Brother, dove visse in isolamento fino alla morte nel 1938. Il suo caso è ancora oggi studiato in epidemiologia come esempio emblematico di trasmissione inconsapevole di malattie infettive (CDC).

Quando la scienza non basta: Jean Weber e Christina Fallings

A differenza del caso di Mary, alcune storie sono molto meno spiegabili con logica scientifica. Jean Weber, in Francia, fu soprannominata dalla stampa “l’Orco” dopo una serie di decessi sospetti tra bambini a lei affidati. Sebbene non ci fossero prove evidenti di omicidio – le autopsie parlavano di morti naturali – la coincidenza inquietante si ripeté troppe volte per non destare sospetti. Dopo essere stata rilasciata, scomparve dalla scena pubblica, lasciando dietro di sé solo domande.

Caso simile fu quello di Christina Fallings, una giovane babysitter americana coinvolta nella morte di quattro bambini a lei affidati negli anni ’80. Le cause registrate – miocardite, edema cerebrale – erano rare e poco chiare. Nonostante indagini approfondite, non venne mai condannata, ma le fu vietato di lavorare con i bambini. Anche in questo caso, la mancanza di prove scientifiche non riuscì a dissipare il senso di inquietudine.

Sfortuna o interpretazione selettiva?

Nel tempo, questi episodi hanno contribuito a rafforzare il concetto popolare di “portatori di sfortuna”, persone attorno alle quali sembrano gravitare eventi negativi. Ma secondo la psicologia, il nostro cervello è programmato per riconoscere schemi, anche dove non ce ne sono. È ciò che gli scienziati chiamano apofenia, ovvero la tendenza a vedere connessioni significative in dati casuali (Psychology Today).

Inoltre, entra in gioco anche il bias di conferma: tendiamo a ricordare solo le tragedie che confermano una certa convinzione (es. “quella persona porta sfortuna”), e a dimenticare le situazioni neutre o positive.

Conclusione: coincidenze tragiche o qualcosa di più?

Sebbene la storia di Mary Mallon abbia trovato una spiegazione scientifica, altri casi restano avvolti nel mistero. I decessi legati a Jean Weber e Christina Fallings potrebbero essere coincidenze rare o errori diagnostici, ma continuano ad alimentare miti e inquietudini.

Il concetto di “persona che porta sfortuna” resta sospeso tra superstizione e scienza, tra spiegazione razionale e bisogno umano di trovare un colpevole nei momenti di dolore. La verità, probabilmente, sta nel mezzo: la mente umana ha bisogno di senso, anche dove regna il caos.

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