Un episodio insolito ha attirato l’attenzione del mondo: l’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha nuovamente manifestato interesse per l’annessione della Groenlandia agli Stati Uniti.
Durante un discorso, Trump ha dichiarato che il paese avrebbe bisogno dell’isola “in un modo o nell’altro” per garantire la “sicurezza nazionale e internazionale”, promettendo ai groenlandesi ricchezza e protezione in cambio dell’unione con gli Stati Uniti. Tuttavia, la proposta ha ricevuto una risposta decisa e ironica dal primo ministro groenlandese, Mute Egede: “Non vogliamo essere americani. La Groenlandia ci appartiene. Non siamo né americani né danesi, siamo groenlandesi.”
La Groenlandia, la più grande isola del mondo con una superficie di circa 2,2 milioni di chilometri quadrati, è un territorio autonomo all’interno del Regno di Danimarca dal XVIII secolo. Nonostante la sua popolazione sia di appena 56.000 abitanti, la sua posizione strategica tra l’Oceano Atlantico e l’Artico la rende un’area di grande rilevanza geopolitica. Durante la Guerra Fredda, gli Stati Uniti avevano già stabilito basi militari nella regione e, negli ultimi decenni, lo scioglimento accelerato dei ghiacci artici ha accresciuto l’interesse per le nuove rotte marittime e le risorse naturali dell’area.
Non era la prima volta che Trump sollevava la possibilità di acquistare la Groenlandia. Già nel 2019, durante il suo primo mandato, aveva avanzato la proposta, definita “assurda” dal governo danese. All’epoca, l’allora prima ministra della Danimarca, Mette Frederiksen, aveva ribadito che l’isola non era in vendita. Nel gennaio 2023, dopo un confronto teso con il premier danese, Trump ha ribadito alla stampa la sua convinzione che i groenlandesi “vogliono stare con noi”, mettendo in discussione i diritti storici della Danimarca sul territorio e sostenendo che l’annessione sarebbe stata una misura per la “protezione del mondo libero”.
La reazione groenlandese non si è fatta attendere. Mute Egede, alla guida del governo locale dal 2021, ha sottolineato che la popolazione non intende rinunciare alla propria autonomia in cambio di una nuova bandiera. “Non vogliamo essere americani né danesi. Siamo groenlandesi”, ha ribadito, affermando che il futuro dell’isola deve essere deciso dai suoi abitanti. Dal 1979, la Groenlandia ha il controllo sulle proprie politiche interne e punta a una maggiore indipendenza da Copenaghen, pur mantenendo stretti legami con la Danimarca per quanto riguarda la difesa e le relazioni internazionali.
Oltre agli aspetti politici, la Groenlandia è un punto di riferimento per la ricerca climatica. Circa l’80% della sua superficie è coperta dai ghiacci e lo scioglimento delle calotte polari preoccupa gli scienziati da decenni.
L’interesse degli Stati Uniti nella regione è legato anche alla competizione globale per l’influenza nell’Artico, dove Russia, Cina e altre potenze stanno investendo in ricerca e infrastrutture. Mentre Trump sosteneva che l’annessione avrebbe portato prosperità, i groenlandesi insistono sullo sviluppo sostenibile.
L’economia locale si basa principalmente sulla pesca e sui sussidi danesi, ma progetti legati all’estrazione mineraria e al turismo stanno emergendo. Per la popolazione indigena inuit, che rappresenta circa il 90% degli abitanti, la tutela delle tradizioni e dell’ambiente rimane una priorità.
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