Malaria, è allarme in provincia di Taranto

VEB

La situazione è ancora delicata, ma soprattutto il pericolo di contagio potrebbe essere ancora alto, quindi si stanno mettendo in atto tutte le misure precauzionali utili ad evitare che, in provincia di Taranto, possa scoppiare un’ epidemia.

Nei giorni scorsi, a quattro braccianti, tre marocchini e un sudanese, tra i 21 e i 37 anni, è stata diagnosticata la malaria. Si tratta di malaria da “Plasmodium falciparum”, una delle forme più severe della malattia che, secondo quanto emerso sinora, sarebbe stata contratta in Italia.

I braccianti contagiati dalla malaria lavorano in provincia di Taranto, nella zona di contrada Pantano: vivono in Italia da diversi anni e sono residenti nelle campagne di Ginosa. Nei giorni scorsi hanno accusato febbre, vomito, dissenteria, cefalea e dolori addominali: le loro condizioni sono in miglioramento, sono ricoverati all’ospedale Moscati di Taranto ma nelle prossime ore dovrebbero essere dimessi.

In via precauzionale, quindi, è stato disposto lo stop per sei mesi alle donazioni di sangue nel comune di Ginosa: lo ha deciso il Centro Nazionale Sangue, che in una circolare precisa che il rischio per la popolazione è molto basso.

Al termine dei sei mesi chi ha soggiornato o è stato anche solo una notte a Ginosa dovrà effettuare il test degli anticorpi antimalarici. In assenza del quale lo stop si prolunga a un anno.

Intanto, proseguono le indagini condotte dal Servizio veterinario dell’Asl, in collaborazione con l’Istituto zooprofilattico di Foggia, nell’area in cui i 4 braccianti vivevano a Ginosa Marina. Sotto osservazione, in particolare, un canale di acqua dell’Eipli (Ente per lo sviluppo dell’irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia, Lucania ed Irpinia) che scorre ad una decina di metri dal casolare abitato dai braccianti. E’ qui che i veterinari hanno installato delle trappole con l’obiettivo di catturare e analizzare le zanzare del genere “Anopheles”.

La stessa Asl sta adesso approfondendo il caso in due direzioni: capire meglio la natura della patologia e verificare, in questo lasso di tempo, dove sono stati i migranti ammalati e quali luoghi hanno frequentato.

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