Ti è mai capitato di chiederti ad alta voce dove siano finite le chiavi? Oppure di ripetere mentalmente — ma anche udibilmente — i passaggi per risolvere un problema complesso? Se sì, potresti appartenere a un gruppo molto particolare: quello delle persone che, secondo la scienza, usano il dialogo interno in modo intelligente per potenziare la propria mente.

Non è follia, ma strategia cognitiva
Per molto tempo, parlare da soli è stato associato a comportamenti eccentrici o instabili. Ma studi recenti hanno ribaltato questa percezione. Gary Lupyan, professore di psicologia all’Università del Wisconsin, ha condotto una ricerca pionieristica che dimostra i benefici cognitivi del parlare a voce alta durante compiti quotidiani complessi.
Secondo Lupyan, pronunciare il nome di un oggetto — per esempio “mela” — mentre lo cerchiamo, attiva simultaneamente più aree del cervello legate alla memoria visiva, al linguaggio e all’associazione semantica. Il risultato? Maggiore concentrazione e velocità nel trovare ciò che cerchiamo.
Un aiuto nell’apprendimento e nell’autodisciplina
Questa tecnica non è nuova nei bambini. Durante lo sviluppo, è normale sentire i più piccoli verbalizzare le azioni mentre imparano qualcosa di nuovo. Questo “auto-narrarsi” serve a suddividere i compiti complessi in passaggi gestibili. E questo vale anche per gli adulti. Parlare a se stessi è, in fondo, un’estensione del linguaggio come strumento per pensare, organizzare e controllare il comportamento.
Secondo il neuroscienziato Lev Vygotskij, il linguaggio interiore — spesso espresso a voce alta nei primi anni — si trasforma col tempo in pensiero strutturato.
La voce interiore come terapia
Oltre al lato cognitivo, parlare da soli può rivelarsi un potentissimo strumento di benessere emotivo. La psicologa Anne Wilson suggerisce una forma di “auto-compassione verbale”, ovvero trattare se stessi con gentilezza, proprio come si farebbe con un amico in difficoltà.
Dire ad alta voce frasi come “Va bene sentirsi stressati” o “Sto facendo del mio meglio” può aiutare a regolare le emozioni e ridurre l’ansia. Questa tecnica ha effetti simili alla mindfulness, favorendo consapevolezza e accettazione (Harvard Health Publishing).
Parlare di sé in terza persona? Funziona
Un altro trucco psicologico validato dalla ricerca è l’uso della terza persona. Dire “Marco può affrontare questo” (anziché “Non ce la faccio”) crea una distanza emotiva che aiuta a gestire lo stress con maggiore razionalità. Studi condotti dalla Michigan State University hanno dimostrato che questo approccio riduce l’attività dell’amigdala, centro neurale delle reazioni impulsive (Journal of Personality and Social Psychology).
Benefici sulla memoria e sulla motivazione
Ripetere le informazioni ad alta voce — dalla lista della spesa al discorso di una presentazione — attiva simultaneamente i canali uditivi e vocali. Questo meccanismo di “doppia codifica” rafforza la memoria e facilita la ritenzione. È una tecnica di studio efficace e sottovalutata, spesso utilizzata inconsapevolmente anche dai professionisti più preparati.
Inoltre, frasi brevi come “Ce la posso fare” o “Concentrati adesso” rappresentano potenti inneschi motivazionali. Nei momenti di fatica, questo tipo di dialogo interno funziona come un carburante mentale.
Quando diventa un campanello d’allarme?
Parlare da soli è un comportamento normale nella maggior parte dei casi, ma può diventare preoccupante se è continuo, incontrollato e interferisce con la vita quotidiana. In questi casi, è opportuno rivolgersi a uno psicologo per escludere condizioni psicopatologiche come schizofrenia o disturbi dissociativi.
Fonte: American Psychological Association
Conclusione
Parlare da soli non è segno di squilibrio, ma piuttosto uno strumento straordinario che il nostro cervello utilizza per pensare meglio, apprendere più velocemente, affrontare lo stress e organizzare le informazioni. La prossima volta che ti sorprendi a borbottare davanti allo specchio o mentre cerchi qualcosa, sorridi: la scienza è dalla tua parte.
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