Pbm, Italia premiata dall’Ue per la gestione delle trasfusioni di sangue

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Dopo le sanzioni impartite purtroppo in moltissimi ambiti, finalmente arriva un lodevole riconoscimento all’Italia da parte dell’Unione Europea: l’Italia è infatti capofila in Europa nella gestione della risorsa sangue del paziente prima, durante e dopo gli interventi chirurgici maggiori, il cosiddetto “Patient Blood Management” (Pbm) che può salvare migliaia di vite.

L’Italia è il primo paese in cui il Pbm è supportato ufficialmente dal Ministero della Salute – spiega Kai Zacharowski dell’ospedale universitario di Francoforte, organizzatore del convegno a cui hanno partecipato oltre 200 esperti da tutta Europa – e potrebbe fare da esempio per gli altri paesi”.

Il Patient Blood Management (PBM) è una strategia multidisciplinare e multimodale che mette al centro la salute e la sicurezza del paziente e migliora i risultati clinici basandosi sulla risorsa sangue dei pazienti stessi. Questo approccio riduce in modo significativo l’utilizzo dei prodotti del sangue, affrontando tutti i fattori di rischio trasfusionale modificabili ancor prima che sia necessario prendere in considerazione il ricorso alla terapia trasfusionale stessa.

Il PBM sembra il modo più razionale e serio di puntare sull’ottimizzazione e il risparmio. Di certo è la sistematizzazione dalla visione più ampia e super partes, volta a garantire le esigenze di tutte le parti in causa che interagiscono nel sistema sangue, ovvero istituzioni, cittadini e aziende.

Italia premiata da Ue per la gestione delle trasfusioni di sangue

Si fonda su tre ‘pilastri’: ottimizzare la capacità di produrre globuli rossi, ad esempio trattando l’anemia prima dell’operazione; ridurre al minimo il sanguinamento, un risultato ottenibile con tecniche chirurgiche particolari o utilizzando terapie specifiche; ottimizzare la tolleranza verso l’anemia, agendo anche con farmaci sulla capacità dell’organismo di tollerarla. Se ben applicato, oltre a evitare le complicanze, può ridurre i tempi di degenza e ridurre sensibilmente i costi legati alle terapie trasfusionali.

Come spiegano chiaramente gli esperti sul sito ufficiale dedicato alla tecnica, la premessa di una trasfusione evitabile consiste nell’attenta valutazione di rischi, benefici e possibili alternative che hanno determinato la decisione di trasfondere. Ogni trasfusione deve essere sempre il risultato di una scelta clinica indipendente i cui i benefici attesi superino i rischi correlati.

Pertanto, quando possibile, nei pazienti ospedalizzati e clinicamente stabili, non solo è raccomandata l’adozione di soglie trasfusionali restrittive ma, in caso di necessità trasfusionale, deve essere trasfusa una sola unità alla volta; la scelta relativa ad un’ulteriore trasfusione deve essere supportata da una attenta rivalutazione clinica del paziente, ricordando anche che il rischio trasfusione.

Secondo alcuni studi, affrontare da anemici un intervento di chirurgia maggiore può aumentare il rischio di mortalità dal 3% al 10%. Il problema, secondo alcune stime, può riguardare dal 5 al 20% della popolazione italiana, mentre a livello globale un articolo recentemente pubblicato da Lancet ha stimato che nel 2016 l’anemia da carenza di ferro era al quarto posto tra le patologie per anni vissuti con disabilità in 195 Paesi.

La corretta gestione del paziente alla vigilia di un intervento chirurgico è un momento cruciale – sottolinea Giancarlo Liumbruno, direttore del Centro nazionale sangue, che ha ritirato il premio a Francoforte e illustrato il sistema italiano durante una sessione del simposio – Sappiamo che il mancato trattamento dell’anemia pre-operatoria equivale all’erogazione di prestazioni sanitarie sub-ottimali, con un aumento del rischio di complicanze anche gravi”.

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