Esistono individui che sembrano vivere in una tempesta perenne. Non appena risolvono una crisi finanziaria, emerge un conflitto familiare; non appena si stabilizza la salute, sorge un problema sul lavoro. Spesso liquidiamo queste situazioni come semplice sfortuna, ma la scienza del comportamento suggerisce che esiste una dinamica molto più profonda. Capire perché alcune persone attirano sempre problemi richiede un’analisi onesta dei pattern psicologici, delle risposte neurologiche allo stress e delle dinamiche relazionali che alimentano questo ciclo continuo.
Non si tratta di una “legge dell’attrazione” mistica, quanto piuttosto di un intreccio tra bias cognitivi, traumi irrisolti e meccanismi di coping disfunzionali. Quando una sequenza di eventi negativi si ripete con regolarità statistica, il fattore comune non è il destino, ma il modo in cui il soggetto interagisce con l’ambiente circostante.

La dipendenza biochimica dal caos e dal cortisolo
Per molti, vivere nel conflitto non è una scelta consapevole, ma una necessità biologica. Il corpo umano, sottoposto a stress prolungato, si abitua a livelli elevati di cortisolo e adrenalina. Con il tempo, il cervello può sviluppare una sorta di assuefazione a questi stati di allerta.
Secondo una ricerca pubblicata su Nature Reviews Neuroscience, l’esposizione cronica allo stress altera i circuiti della ricompensa. In parole povere, chi è cresciuto in contesti instabili potrebbe sentirsi “anormale” quando tutto va bene. La quiete viene percepita come una minaccia, il preludio a un disastro imminente. Di conseguenza, l’individuo mette in atto comportamenti di autosabotaggio per ripristinare quello stato di crisi che, pur essendo doloroso, è paradossalmente familiare e rassicurante.
“Le persone che hanno subìto traumi infantili spesso ricreano situazioni caotiche nella vita adulta perché il caos è l’unico linguaggio che sanno parlare correttamente.” — Dr. Gabor Maté.
L’assenza di confini personali e il ruolo del “Salvatore”
Uno dei motivi principali per cui alcune persone sono costantemente circondate da complicazioni riguarda la gestione dei confini. Esiste una categoria di individui, spesso definiti “empatici eccessivi”, che caricano su di sé i pesi altrui.
- Incapacità di dire no: Accettare responsabilità che non competono porta inevitabilmente a un sovraccarico di problemi esterni.
- Sindrome della crocerossina: Attirare partner o amici problematici nel tentativo di “guarirli”.
- Mancanza di assertività: Permettere agli altri di invadere il proprio spazio vitale crea attriti costanti.
Senza confini sani nelle relazioni, si diventa un magnete per persone manipolatrici o narcisiste che portano con sé doti massicce di dramma e instabilità. In questo scenario, i problemi non “capitano”, vengono attivamente invitati attraverso l’apertura indiscriminata verso chiunque.

Profezie che si autoavverano e locus of control
La psicologia definisce locus of control esterno la tendenza a credere che la propria vita sia governata da forze fuori dal proprio comando. Chi possiede questa visione tende a sentirsi una vittima costante delle circostanze.
Se una persona è convinta che “andrà tutto male”, il suo cervello filtrerà la realtà attraverso il bias di conferma. Noterà solo i segnali negativi e ignorerà le opportunità positive. Questo atteggiamento mentale porta a prendere decisioni affrettate o basate sulla paura, che generano effettivamente nuovi intoppi. È un circolo vizioso: la convinzione di essere sfortunati produce scelte sbagliate che confermano la convinzione iniziale.
Ad esempio, uno studio della Harvard Business Review sottolinea come i leader che non si assumono la responsabilità dei propri errori (locus esterno) finiscano per replicare gli stessi fallimenti sistemici, attirando crisi aziendali cicliche che potrebbero essere evitate con una semplice analisi dell’errore.
Il vantaggio secondario: quando il problema è un’arma
Sembra controintuitivo, ma avere sempre un problema da risolvere può offrire dei vantaggi nascosti, noti in psicologia come guadagni secondari. Questi benefici non sono ammessi apertamente, ma guidano il comportamento nel subconscio.
- Attenzione e validazione: Una persona in crisi riceve spesso più attenzioni, cure e supporto sociale rispetto a chi sta bene.
- Evitamento della responsabilità: Se ho un’emergenza costante, ho una scusa valida per non affrontare sfide più grandi, come cambiare carriera o impegnarmi seriamente in un progetto.
- Identità basata sulla lotta: Per molti, essere “quello che ce la fa nonostante tutto” diventa un pilastro della propria identità. Senza la lotta, non sanno chi sono.
Riconoscere questi meccanismi è il primo passo per spezzare la catena della sfortuna cronica. Spesso il dramma serve a coprire un vuoto interiore o la paura di fallire in condizioni di normalità.
Come interrompere il ciclo dell’instabilità perenne
Uscire da questa dinamica richiede un lavoro profondo sulla consapevolezza di sé e sulla modifica delle proprie abitudini reattive. Non si cambia la realtà esterna senza prima modificare i filtri interni.
Sviluppare la responsabilità radicale
Il primo passo consiste nello smettere di dare la colpa al caso. Chiedersi: “Qual è la mia parte in quello che sta succedendo?” non serve a colpevolizzarsi, ma a riprendere il potere. Se io ho contribuito al problema, io posso risolverlo.
Praticare il distacco emotivo
Molte persone attirano problemi perché reagiscono d’impulso a ogni stimolo. Imparare a regolare le emozioni permette di non trasformare un piccolo contrattempo in una catastrofe monumentale. La meditazione e la terapia cognitivo-comportamentale sono strumenti validati dalla scienza per ridurre la reattività del sistema nervoso.
Selezionare l’ambiente sociale
Siamo la media delle cinque persone che frequentiamo di più. Se il nostro cerchio sociale è composto da individui che vivono nel lamento e nel conflitto, sarà quasi impossibile restarne fuori. Cambiare frequentazioni per migliorare la propria vita non è un atto di egoismo, ma di sopravvivenza psichica.
Una nuova prospettiva sulla stabilità
Vivere senza crisi costanti non è una questione di fortuna, ma di igiene mentale e relazionale. Spesso, chi sembra attirare guai sta semplicemente proiettando all’esterno un disordine interno che chiede di essere ascoltato. Una volta che si impara a tollerare la pace e a stabilire limiti chiari, il mondo circostante smette di presentarsi come un campo di battaglia e inizia a riflettere una nuova, meritata serenità.
Domande Frequenti (FAQ)
Esiste davvero la sfortuna cronica o è solo un fattore psicologico? Sebbene il caso esista, la sfortuna cronica è spesso legata a schemi comportamentali ripetitivi. La scienza dimostra che le nostre scelte, guidate dal subconscio, influenzano la probabilità di trovarsi in situazioni rischiose. Cambiando i propri pattern di reazione e di scelta, la frequenza degli eventi negativi tende a diminuire drasticamente.
Come posso capire se sto sabotando me stesso attirando problemi? Un segnale chiaro è la ripetitività dei problemi: se le dinamiche conflittuali si ripresentano simili anche cambiando partner o lavoro, la causa è probabilmente interna. Altri indicatori sono la sensazione di ansia quando tutto è calmo o la tendenza a procrastinare decisioni importanti finché non diventano emergenze critiche.
Il trauma infantile può influenzare la capacità di vivere una vita serena? Sì, le esperienze avverse nell’infanzia modellano il sistema nervoso rendendolo ipersensibile allo stress. Molti adulti ricreano involontariamente il caos vissuto da piccoli perché è l’unico ambiente che sanno gestire. In questi casi, un percorso terapeutico è fondamentale per “resettare” la percezione della sicurezza e della stabilità emotiva.
In che modo i confini personali aiutano a ridurre i problemi quotidiani? I confini agiscono come un filtro: impediscono alle persone tossiche di scaricare le proprie responsabilità su di noi e ci proteggono dal sovraccarico imprevisto. Imparare a dire di no e a non farsi carico dei drammi altrui riduce drasticamente il numero di complicazioni esterne che dobbiamo gestire ogni giorno.
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