Un’altra data segnata sul calendario come la fine di tutto è passata senza che accadesse nulla. La recente previsione del “rapimento”, fissata tra il 23 e il 24 settembre da alcuni gruppi, si è conclusa con un nulla di fatto, lasciando molti a interrogarsi sulla natura di queste credenze.

Il caso del rapimento del 23 settembre
Al centro dell’attenzione mediatica è finito Joshua Mhlakela, un pastore sudafricano che aveva annunciato con estrema convinzione l’imminente evento. Sostenendo di aver ricevuto la data da Dio in persona durante un sogno, ha organizzato una diretta streaming per attendere il momento fatidico. La sua fede era così incrollabile da spingere molte persone a compiere gesti estremi, come vendere auto e case o licenziarsi, convinti che i beni materiali non avrebbero più avuto alcun valore.
Quando la mezzanotte è passata senza che il cielo si aprisse, il pastore non si è dato per vinto. Ha semplicemente posticipato l’attesa, affermando che “il Signore sta arrivando” con il suo “esercito di angeli”. Questo episodio non è un caso isolato, ma l’ultimo di una lunga serie di profezie apocalittiche che hanno scandito la storia umana, dimostrando una notevole capacità di attrazione nonostante i continui fallimenti.
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Perché crediamo alle profezie sulla fine del mondo?
La tendenza a credere a previsioni catastrofiche ha radici profonde nella nostra psicologia. In periodi di forte stress e instabilità, il nostro cervello cerca disperatamente appigli. La psicoterapeuta Tina Chummun spiega che “le persone spesso si affidano a questi sistemi di credenze in periodi di incertezza perché il nostro cervello è programmato per cercare schemi e sicurezza”.
Le neuroscienze confermano questa visione. Studi citati anche su riviste come Psychology Today evidenziano come l’incertezza attivi l’amigdala, la parte del cervello legata alle emozioni e alla paura. Questo ci rende più recettivi a narrazioni semplicistiche che promettono sicurezza, controllo o una forma di salvezza. In sostanza, di fronte all’ignoto, affidarsi a chi sembra avere una risposta certa offre un sollievo psicologico immediato, anche quando quella risposta sfida la logica.
Episodi come quello del pastore Mhlakela ci ricordano quanto le nostre convinzioni possano modellare la realtà, spingendoci a prendere decisioni che cambiano la vita. Mentre una nuova data per la fine del mondo verrà senza dubbio fissata da qualcun altro, la scienza ci offre una chiave di lettura potente per capire perché queste idee continuano ad affascinarci.
Per approfondire i meccanismi psicologici dietro le credenze e i bias cognitivi, è possibile consultare fonti autorevoli come l’American Psychological Association (APA) o archivi storici sulle profezie del passato.
FAQ – Domande Frequenti
Cosa è successo con la profezia del 23 settembre? Un pastore sudafricano aveva previsto il “rapimento” dei fedeli per quella data. Ha trasmesso l’evento in diretta, ma la profezia non si è avverata. Il caso ha attirato l’attenzione perché molti suoi seguaci, credendogli, avevano venduto i loro beni e lasciato il lavoro in attesa dell’evento.
Perché le persone arrivano a vendere tutto per una profezia? La convinzione in una salvezza imminente può essere così forte da rendere irrilevanti i beni terreni. Questo gesto radicale è spinto dal desiderio di un nuovo inizio e dalla completa fiducia in una guida spirituale, specialmente in momenti di grande incertezza personale o collettiva.
Cosa spiega la psicologia riguardo a queste credenze? La psicologia suggerisce che in periodi di stress, il cervello umano cerca certezze per gestire l’ansia. Le profezie offrono una spiegazione semplice e un senso di controllo sull’ignoto, attivando meccanismi di difesa psicologica che ci rendono più vulnerabili a narrazioni di salvezza, anche se irrazionali.
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