Lunghe settimane di polemiche, ma alla fine la musica, ancora una volta, ha vinto ed è riuscita a vincere anche le critiche più aspre.
Alla fine il concerto che non si doveva fare si è fatto, e oltre 50 mila persone hanno assistito alla lunghissima performance dei Radiohead al parco Yarkon di Tel Aviv, la prima in diciassette anni.
Questo è stato probabilmente il concerto più discusso degli ultimi tempi, ma i Radiohead sono riusciti a chiudere a Tel Aviv la loro tournée, dopo settimane di polemiche: da una parte esponenti della comunità artistica che hanno fatto pressione perché la band di Thom Yorke sostenesse il boicottaggio dello stato, dall’altra i Radiohead che hanno sempre sostenuto il loro diritto ad esibirsi.
La querelle, avviata dall’ex Pink Floyd Roger Waters, era andata avanti fino a poche ore prima dell’inizio del concerto nell’estremo tentativo di dissuadere Thom Yorke, ma il messaggio del cantante e polistrumentista britannico era chiaro sin da quando dieci giorni fa aveva risposto con il dito medio alle bandiere palestinesi e ai fischi che avevano accompagnato l’inizio della sua esibizione al Transmight Festival di Glasgow, in Scozia.
In un post su Twitter Yorke aveva pazientemente spiegato: “Suonare in un paese non equivale ad approvare il suo governo. Noi non sosteniamo Netanyahu più di quanto sosteniamo Trump, ma continuiamo a suonare in America”.
E in intervista alla rivista Rolling Stone aveva dichiarato: “È profondamente offensivo supporre che noi siamo così disinformati o così ritardati da non poter prendere queste decisioni per conto nostro. È davvero impressionante che artisti che rispetto pensino che non siamo in grado di prendere da soli una decisione etica dopo tutti questi anni. Ci parlano con arroganza e sufficienza e trovo semplicemente sbalorditivo che credano di avere il diritto di farlo”.
I Radiohead alla fine hanno suonato ed è facile e soprattutto ricco di speranza immaginare che ci fossero anche arabi-israeliani nel pubblico.