Nel corso di miliardi di anni, la Terra ha visto sorgere e sparire innumerevoli specie. Negli ultimi decenni, questo processo si è accelerato, complicato da disastri ambientali e dalla crisi climatica.
Per rispondere a queste sfide, un gruppo di scienziati ha proposto una soluzione innovativa: costruire un biodeposito sulla Luna. Questa idea, descritta in uno studio pubblicato su BioScience, è guidata dalla dottoressa Mary Hagedorn dell’Istituto nazionale di zoo e biologia della conservazione dello Smithsonian Institution. L’obiettivo è creare un archivio permanente per le specie in via di estinzione, sfruttando le condizioni naturali della Luna per la crioconservazione dei campioni.
Ma perché scegliere la Luna?
Alcuni crateri lunari ai poli non ricevono mai luce solare e mantengono temperature costantemente inferiori a -196°C, ideali per la conservazione a lungo termine senza necessità di intervento umano costante o elettricità, due limitazioni significative sulla Terra.
Inoltre, la Luna offre vantaggi unici: una sottile atmosfera, quasi assenza di condizioni meteorologiche e un’attività sismica molto inferiore rispetto alla Terra.
Questi fattori rendono la Luna un luogo privilegiato per lo stoccaggio, al contrario delle strutture terrestri che possono essere compromesse dai cambiamenti climatici. Un esempio è il Global Seed Vault nelle Svalbard, che ha dovuto affrontare riparazioni dopo che lo scioglimento inaspettato del permafrost ha causato infiltrazioni d’acqua.
Nonostante le potenzialità, il progetto presenta numerose sfide. È fondamentale risolvere i problemi di trasporto dei campioni, proteggerli dalle radiazioni e sviluppare un sistema di gestione efficace per la struttura.
Come primo passo, gli scienziati intendono utilizzare il ghiozzo stellato (Asterropteryx semipunctata) per creare protocolli di crioconservazione sulla Luna, poiché i fibroblasti della pelle di questo pesce possono essere usati per la clonazione, rendendolo ideale per i primi test.
Il team prevede di collaborare con le agenzie spaziali per condurre esperimenti sulla Stazione Spaziale Internazionale, al fine di comprendere meglio le problematiche che potrebbero sorgere in futuro.