Negli ultimi anni si è diffusa una convinzione piuttosto allarmante: la solitudine sarebbe dannosa per la salute tanto quanto fumare 15 sigarette al giorno. Questo paragone, spesso citato nei media e nei contesti divulgativi, è stato ripreso anche dalla campagna del Surgeon General degli Stati Uniti (fonte), ma oggi nuove ricerche scientifiche ne ridimensionano significativamente l’impatto.

La solitudine fa male, ma non sempre è la causa principale
Uno studio pubblicato di recente, che ha analizzato dati provenienti da popolazioni statunitensi, britanniche e cinesi, ha scoperto che la solitudine è effettivamente associata a 30 su 56 malattie analizzate, ma non è sempre la causa diretta. In molti casi, fattori come condizioni socioeconomiche, depressione preesistente o disturbi mentali già diagnosticati risultano essere determinanti più forti nel rischio di sviluppare patologie croniche.
Secondo l’analisi genetica condotta su 26 di queste malattie, la solitudine si è rivelata collegata soprattutto a disturbi mentali e comportamentali, come:
- Depressione
- Disturbo post-traumatico da stress (PTSD)
- Ansia
- Schizofrenia
Ma in altri ambiti, come quello cardiovascolare, metabolico o neurologico, il legame è molto più debole di quanto suggerito in passato. Per esempio, non esistono prove robuste che colleghino direttamente la solitudine a diabete di tipo 2, obesità, malattie epatiche croniche o renali, come confermato anche da articoli pubblicati su The Lancet e Nature Reviews Neuroscience (fonte autorevole: Nature).
Le forme nascoste della solitudine: il vuoto emotivo tra la folla
Un fenomeno particolarmente interessante è quello della solitudine sociale: una condizione in cui, pur circondati da persone, non si riesce a creare connessioni emotive autentiche. Questo tipo di isolamento psicologico è stato descritto come un importante predittore di malessere, anche nei contesti familiari o lavorativi in cui apparentemente non manca il contatto umano.
Secondo l’European Social Survey, la solitudine in Europa varia tra il 2,4% e il 24,2% della popolazione adulta, con picchi più alti tra gli over 55 e in momenti di crisi, come durante la pandemia. Alcuni studi suggeriscono che i periodi della vita in cui le persone si sentono più sole sono:
- Fine dei vent’anni (transizione all’età adulta)
- Metà dei cinquanta (cambiamenti professionali e familiari)
- Vecchiaia (ritiro sociale e perdita di relazioni)
Solitudine e salute: cosa ci dice davvero la scienza?
La solitudine cronica può avere conseguenze importanti sul sistema immunitario, sulla qualità del sonno e sul benessere psicologico generale, specialmente quando si trasforma in stress cronico. Ma ridurre ogni forma di malattia o malessere a un unico fattore sociale rischia di semplificare eccessivamente una realtà complessa. Come sottolineato anche dalla Harvard Health Publishing, è importante distinguere tra correlazione e causalità.
In definitiva, la solitudine può essere un importante campanello d’allarme per il benessere mentale, ma non è da sola responsabile di ogni malattia. Comprendere il contesto sociale, emotivo e sanitario delle persone è fondamentale per offrire risposte adeguate.