Anziani, dormire male porta anche a un calo della memoria

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L’insonnia è un disturbo comune che consiste nell’incapacità di addormentarsi o nel sovvertimento dei normali ritmi del sonno.

Tante sono le cause di svariata natura, ma nella maggior parte dei casi giocano un ruolo centrale stress, specie quelli di tipo psicosociali (come i rapporti conflittuali nell’ambiente lavorativo) ma anche depressione, abuso di sostanze eccitanti, dolore fisico, allergie alimentari, disturbi ambientali, il russamento abituale associato alla presenza di apnee notturne e il jet lag.

L’insonnia non è una malattia univoca ma si presenta in tanti modi diversi, ecco perché clinicamente viene classificata tenendo conto di almeno tre parametri: la sua durata, le possibili cause e la tipologia.

L’insonnia primaria costituisce il 15% circa delle insonnie. Chi ne soffre vive con angoscia e tensione il fatto stesso di andare a letto, e anche se ha sonno appena si corica si ritrova sveglio e irrequieto. Colpisce in genere soggetti ansiosi, afflitti spesso da cefalee, tensione muscolare, irrequietezza motoria.

Ci si addormenta senza problemi, ma nel corso della notte vi sono continui risvegli, che durano da pochi minuti a intere ore. Il sonno poi riprende, per interrompersi nuovamente dopo un po’: in genere questo tipo di insonnia affligge soggetti caratterizzati da ansia da un forte bisogno di controllo.

Capita a tutti, di tanto in tanto, di dormire male o di passare una notte in bianco. Ma se l’insonnia perdura oltre una settimana (insonnia acuta) c’è il rischio che si inneschi un circolo vizioso tale da renderlo cronico.

E le conseguenze di un cattivo sonno non sono certo da sottovalutare e sono da ricercare negli effetti della sua deprivazione cronica (perdita) e vanno dalla sonnolenza diurna e la stanchezza, alla scarsa concentrazione e facile irritabilità, dalla depressione, ai disturbi della memoria e dell’apprendimento, alla riduzione delle performances intellettuali con aumento degli errori nello svolgimento di mansioni complesse, come quelle direzionali o di responsabilità.

Anziani, dormire male porta anche a un calo della memoria

Anziani dormire male porta anche a un calo della memoria

Se l’insonnia è un problema trasversale a tutte le fasce d’età, è credenza comune che gli anziani siano quelli che in generale trovano più difficoltà a dormire. Ma è veramente così?

Solo in Italia sono oltre 10 milioni gli anziani che dormono meno con l’avanzare dell’età: il dato è emerso dall’ultimo congresso della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (Sigg) svoltosi nei giorni scorsi a Napoli che ha anche evidenziato come, in realtà, più che dormire meno, gli anziani riposano male per motivazioni che spesso possono essere differenti per i due sessi.

Da indagini effettuate è emerso che gli uomini, generalmente, fanno fatica ad addormentarsi a causa di cene abbondanti e tendono a svegliarsi per andare in bagno durante la notte; per quanto riguarda le donne, invece, i disturbi del sonno derivano principalmente dagli acciacchi e da pensieri e preoccupazioni che ne agitano il sonno.

Ma, al di là delle cause, sono gli effetti negativi a preoccupare.

Una ricerca coordinata da Matt Walker, professore di neuroscienze e psicologia all’Università della California, (Berkeley) ha messo in evidenza come gli anziani potrebbero avere un calo di memoria a causa di una scarsa qualità del sonno (e non solo). Il disturbo sarebbe riconducibile a una minor coordinazione tra le onde cerebrali, indispensabili per salvare i nostri ricordi in un apposito archivio.

Nelle ore notturne, quando dormiamo, coesistono due ritmi cerebrali, che si verificano centinaia di volte. Nei giovani adulti si muovono in perfetta armonia, ma non avviene la medesima cosa con l’avanzare dell’età.

«Con l’invecchiamento del cervello, non è più possibile coordinare con la massima precisione le due onde cerebrali di sonno profondo» – spiega Walker «è come un tennista fuori dal gioco».

La scoperta dei ricercatori potrebbe in parte spiegare come mai l’invecchiamento influisce sulla memoria anche sulle persone che non presentano veri e propri disturbi cognitivi.

Tutto questo ha conseguenze sullo stato di salute generale che va dalle alterazioni dell’umore all’affaticabilità, dalla ridotta capacità di concentrazione all’aumento del rischio di cadute.

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