Una missione che doveva durare otto giorni si è trasformata in un’odissea spaziale di quasi dieci mesi per due astronauti veterani della NASA, Sunita Williams e Barry Wilmore, rientrati il 19 marzo scorso dalla Stazione Spaziale Internazionale (ISS). Il volo di ritorno è stato posticipato a causa di gravi problemi tecnici riscontrati sulla navetta Starliner della Boeing, e ha costretto i due astronauti a una permanenza forzata nello spazio, con conseguenze sorprendenti sul piano fisico e psicologico.

Starliner: missione travagliata per la navetta di Boeing
La missione era iniziata il 5 giugno dell’anno precedente, con il lancio della navetta Starliner, un progetto Boeing sviluppato in collaborazione con la NASA nel contesto del programma Commercial Crew Program. Tuttavia, durante le fasi iniziali di attracco alla ISS, sono emerse anomalie ai propulsori del veicolo. La decisione è stata drastica: rimandare l’equipaggio a Terra con una missione successiva, lasciando gli astronauti sulla stazione orbitale e inviando Starliner a Terra senza equipaggio per ulteriori test.
Secondo Evgeny Okunev, esperto di Roscosmos, la sostituzione della navetta non è stata possibile a causa delle personalizzazioni specifiche di ogni postazione per ciascun astronauta, che includono misurazioni dettagliate delle tute e della massa corporea.
L’invecchiamento accelerato nello spazio: un effetto reale?
La lunga permanenza nello spazio ha avuto effetti sorprendenti sull’aspetto fisico degli astronauti. Al loro ritorno, i medici hanno riscontrato segni visibili di invecchiamento precoce, come capelli grigi, perdita muscolare e assottigliamento cutaneo fino al 20%. Sebbene l’assenza di gravità sia nota per contribuire all’atrofia muscolare e alla demineralizzazione ossea, questa accelerazione visibile dell’invecchiamento ha suscitato nuovo interesse nella comunità scientifica.
Come evidenziato dalla NASA e da studi pubblicati su riviste scientifiche come Nature, i voli spaziali prolungati alterano la fisiologia umana, influenzando il sistema cardiovascolare, il metabolismo e persino l’espressione genica. Il caso di Williams e Wilmore apre nuovi interrogativi sulla sostenibilità delle missioni spaziali a lungo termine, soprattutto in vista di futuri viaggi su Marte o stazioni lunari permanenti.
Costi elevati, rischi elevati
Durante la permanenza prolungata degli astronauti, i costi operativi sono schizzati alle stelle: si parla di circa 38 milioni di rubli al giorno (oltre 370.000 euro), principalmente destinati a prodotti per la pulizia, la disinfezione e il controllo della muffa – una minaccia sottovalutata ma potenzialmente dannosa per le superfici elettroniche e plastiche della stazione.
Non meno importante è stato il peso psicologico di una permanenza così lunga in ambienti angusti e privi di gravità. Williams ha dichiarato che pratiche come la meditazione sono state essenziali per gestire lo stress, mentre l’idea che “biologicamente siamo più giovani dei nostri fratelli sulla Terra” (un riferimento alla dilatazione temporale prevista dalla relatività) rappresentava una forma di auto-motivazione, per quanto ironica.
Un caso di studio per il futuro dell’esplorazione spaziale
Ora, Williams e Wilmore affronteranno un lungo percorso di riabilitazione medica, con test approfonditi per comprendere gli effetti di questa missione fuori programma. L’episodio rappresenta un caso di studio fondamentale per le agenzie spaziali di tutto il mondo, impegnate nello sviluppo di viaggi interplanetari.
La NASA, in collaborazione con partner internazionali come l’ESA e JAXA, sta già analizzando i dati raccolti per migliorare le strategie di protezione della salute degli astronauti. Questo include nuove tute, ambienti più ergonomici e programmi di esercizio personalizzati in orbita.