Carrie Fisher, l’autopsia mette fine al mistero della sua morte

VEB

Era il 23 dicembre dello scorso anno quando, mentre era in volo da Londra a Los Angeles, un quarto d’ora prima di atterrare, era stata colpita da un infarto: le sue condizioni erano apparse subito gravissime.

Rianimata sull’aereo, era stata portata in ospedale, in terapia intensiva all’Ucla Medical: purtroppo però, negli ultimi giorni di un 2016 che ha visto la morte di moltissimi personaggi amati in tutto il mondo, abbiamo dovuto dire addio anche a Carrie Fisher, a soli 60 anni.

L’attrice non ha più ripreso conoscenza ed è  morta esattamente il 27 dicembre, mentre sua madre, Debbie Reynolds, anche a causa del fortissimo dolore, è morta il giorno successivo.

E a sei mesi dalla sua scomparsa, l’autopsia ha svelato che l’indimenticabile principessa Leila è stata uccisa da un’apnea nel sonno insieme ad altri fattori fra cui l’uso di droghe, secondo quanto ha riferito l’ufficio del Coroner di Los Angeles, citato dai media locali.

In un breve comunicato, il coroner ha indicato anche che tra le cause della morte ci sono malattia cardiaca aterosclerotica e l’uso di droga. L’utilizzo di medicinali e droghe può infatti peggiorare la Sindrome delle apnee nel sonno con risultati fatali.

Il fratello della Fisher ha però voluto sottolineare che sua sorella aveva parlato della sua dipendenza da droghe frequentemente, e che molte delle medicine che prendeva erano prescritte dai dottori per cercare di trattare la sua malattia mentale.

Carrie, ricordiamo, era affetta da un disturbo bipolare: la donna ha raccontato di aver iniziato a fumare marijuana a 13 anni, prima di passare a droghe più pesanti con l’andare del tempo.

Così, invece, la figlia Billie Lourd ha subito commentato al People Magazine: “Mia madre ha combattuto contro la dipendenza dalle droghe e la malattia mentale per tutta la vita. Alla fine, ci è morta. In tutte le sue opere ha sempre parlato apertamente del marchio sociale che circonda queste malattie. Parlava della vergogna che tormenta le persone e le loro famiglie quando devono affrontare queste malattie. So che mia mamma voleva che la sua morte incoraggiasse le persone ad aprirsi e parlare delle proprie battaglie. Cercate aiuto, combattete affinché siano stanziati fondi governativi per programmi dedicati alla malattia mentale. La vergogna e lo stigma sociale sono nemici del progresso verso le soluzioni e, alla fine, una cura. Ti voglio bene Momby”.

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