Cyborg, impiantati muscoli umani su uno scheletro robotico

VEB

Un cyborg è un superuomo con parti robotiche e componenti biologiche, ultimo stadio di un processo di artificializzazione del corpo umano che diventa così sempre più efficiente e praticamente senza limiti.

Il termine cyborg è stato coniato nel 1960 dal neuroscienziato austriaco Manfred Clynes per indicare una creatura ibrida, un uomo potenziato che integrando nel proprio corpo dispositivi bionici sarebbe stato in grado di vivere nello spazio. Un cyborg è più di un uomo e decisamente più di un androide perché è entrambe le cose.

Questi esseri sono entrati nell’immaginario collettivo grazie alla letteratura e al cinema. Nel 1839 nel suo racconto “L’uomo finito” Edgar Allan Poe descrive il protagonista – un vecchio generale ferito in battaglia – come un concentrato di protesi sintetiche. Nel 1911 è la volta di Nyctalope, un supereroe dal cuore artificiale e dai sensi potenziati nato dalla penna del romanziere francese Jean de la Hire.

Robocop (1987) racconta la storia di un poliziotto ucciso in servizio che “rivive” nel corpo di un cyborg, il cui unico obiettivo è far rispettare la legge. Un cyborg invece cattivo per eccellenza è Dart Fener, uno dei personaggi più celebri di Star Wars. Dart Fener non è altri che Anakin Skywalker passato al Lato Oscuro della Forza: dopo un duello con Obi-Wan in cui perde gambe e braccia, viene salvato dall’imperatore Palpatine che lo trasforma in un potentissimo cyborg dotato di arti bionici.

Molto amati quindi al cinema e in letteratura, per molti non diventeranno mai realtà, anche se, a onor del vero, negli ultimi anni la demarcazione tra naturale e intelligenza artificiale si sta facendo sempre più sfumata.

A conferma che non è solo fantascienza ed anzi in un prossimo futuro i cyborg potrebbero popolare veramente il nostro mondo, è proprio la scienza stessa: il primo passo in questa direzione è stato fatto con quelli che potrebbero essere i loro progenitori, grazie a fibre muscolari vive fatte crescere direttamente su una struttura metallica, che praticamente funge da osso.

La ricerca dell’Università di Tokyo, pubblicata sulla rivista Science Robotics, ha mostrato che questi piccoli robot bio-ibridi riescono a imitare i movimenti di un dito umano e restano perfettamente funzionanti per più di una settimana.

In passato numerosi studi erano stati fallimentari, ma il nuovo studio ha adottato un approccio diverso da quello utilizzato in passato: invece di servirsi di un muscolo estratto da un animale, si è partiti da cellule staminali chiamate mioblasti, fino ad arrivare a tessuto muscolare perfettamente funzionante cresciuto sul robot.

I muscoli sono stati posizionati in modo da avere coppie antagoniste proprio come avviene nel corpo umano, per esempio con bicipite e tricipite nel braccio, in cui mentre uno si contrae l’altro si distende e viceversa.

I benefici di usare coppie di muscoli antagonisti sono molti, a cominciare dalla salute dello stesso tessuto muscolare, che non si deteriora in poco tempo come è sempre accaduto negli studi precedenti.

“Si tratta di un nuovo tipo di robot i cui vantaggi più importanti sono due”, spiega all’ANSA Leonardo Ricotti, ricercatore dell’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa ed esperto di robot bio-ibridi e tessuti artificiali. “Da un lato la presenza di veri muscoli permette di avere robot molto più fluidi e flessibili, con movimenti simili a quelli degli esseri viventi, dall’altro – aggiunge – si possono sfruttare le cellule muscolari come motori per microrobot, che troverebbero applicazione soprattutto in ambito medico”.

I “cyborg” sono già stati testati con successo per diversi compiti, come raccogliere e infilare un anello o trasportare all’unisono una cornice quadrata. “Questo è un campo di ricerca in rapida espansione – conclude il ricercatore del Sant’Anna – e le applicazioni sono ancora lontane, ma molto interessanti”.

I nostri risultati mostrano che, usando la disposizione antagonista dei muscoli, questi robot possono imitare le azioni di un dito umano”, ha concluso invece Yuya Morimoto, autore principale dello studio. “Se potessimo combinare diversi di questi muscoli in un singolo dispositivo, dovremmo essere in grado di riprodurre la complessa interazione muscolare che permette di funzionare alle mani, alle braccia e ad altre parti del corpo”.

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