Disforia di genere, rendere possibile già ai minori il cambio di sesso?

VEB

Se per la maggior parte delle persone vi è consonanza tra sesso biologico, identità di genere e ruolo di genere, ed è in questo caso che si parla di disforia di genere.

La disforia di genere è caratterizzata da una forte e persistente identificazione col sesso opposto; le persone si ritengono vittime di una sorta di “incidente biologico” che le ha imprigionate in un corpo incompatibile con l’identità di genere che vivono soggettivamente.

Le persone con grave disforia di genere, spesso definite come transessuali, possono presentare sintomi gravi, inquietanti e di lunga durata e hanno un forte desiderio di cambiare il loro corpo mediante interventi medici e/o chirurgici per renderlo più strettamente allineato con la loro identità di genere.

La disforia di genere può manifestarsi sin dai primi anni di vita, ovvero quando inizia a formarsi e ad esprimersi la propria identità di genere.

Infatti, già tra i 3 e i 4 anni, alcuni bambini manifestano in maniera del tutto naturale e spontanea la loro percezione di genere, spesso anche attraverso il gioco.

Una disarmonia tra identità biologica e di genere manifestata nei primi anni di vita però non è necessariamente associabile alla disforia, che deve presentarsi con costanza fino ad un’età più adulta, ed è per questo che per anni gli esperti hanno preferito attendere per intervenire con farmaci o interventi, per poter cambiare sesso.

Ma poiché il cambio di sesso è anche sempre più una richiesta che viene avanzata precocemente da giovani e giovanissimi, si discute ora sulla possibilità di avviarla già prima della fase adolescenziale.

Bloccare medicalmente, con dei farmaci, la pubertà preadolescenziale a quei soggetti che sono affetti dalla disforia di genere: una proposta da vagliare attentamente.

Questa, del resto, è una di quelle decisioni che, se prese, sono capaci di far storia: il Comitato Nazionale per la Bioetica ha già dato il suo consenso alla possibilità avanzata dall’Agenzia italiana del farmaco, di servirsi della triptorelina nei suddetti casi.

L’Aifa a sua volta è stata sollecitata da alcune associazioni di medici (endocrinologi, andrologi, sessuologi).

Secondo il Cnb «il trattamento è giustificabile» quando la diagnosi di disforia è effettuata «in fase precoce da una equipe multidisciplinare e specialistica composta almeno da uno/a specialista in neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, endocrinologia pediatrica, psicologia dell’età evolutiva e bioetica».

La triptorelina è un farmaco in grado di bloccare l’attività dell’ipofisi e dunque a stoppare la pubertà, contenendo così le trasformazioni fisiche e, di conseguenza, lo sviluppo all’origine della sofferenza dei ragazzi o delle ragazze che non si riconoscono maschi o femmine e che esprimono forte il desiderio di appartenere al genere opposto del proprio sesso di nascita.

“Numerose evidenze scientifiche mostrano come la sospensione della pubertà indotta dalla triptorelina in casi selezionati e attentamente seguiti di adolescenti con disforia di genere sia in grado di ridurre in modo significativo i problemi comportamentali ed emotivi e il rischio suicidario, nonché di migliorare il funzionamento psicologico generale”, ha spiegato Alessandra D. Fisher, afferente alla Sod di Medicina della Sessualità e Andrologia.

Naturalmente non sono mancate neppure le critiche, dure ed aspre, in special modo provenienti da due organismi cattolici: il Centro Studi Livatino e il Comitato del Family Day.

Entrambi chiedono al Comitato di Bioetica un ripensamento. «Da giuristi e medici siamo preoccupati per il consenso informato del minore e della sua famiglia, in mancanza di vere informazioni scientifiche, in un clima culturale condizionato da elevata pressione ideologica verso la cancellazione della identità di genere maschile, femminile», fanno sapere.

Ed il centro Studi Levatino aggiunge: “I pareri del CNB si sono sempre distinti per rigore scientifico e sono stati un riferimento autorevole per le tematiche bioetiche. In questo caso invece il CNB ha avallato un farmaco per una indicazione che, come lo stesso comitato riconosce, non ha evidenze scientifiche a sostegno (l’astensione dei due rappresentanti dell’Istituto Superiore di Sanità e del Consiglio Superiore di Sanità è significativa al riguardo), e mostra una serie di gravi controindicazioni, che comunque emergono dal documento: esse avrebbero dovuto far concludere per un no a un percorso controverso e potenzialmente pericoloso per la salute fisica e psichica dei minori coinvolti. La cautela all’uso del prodotto esposta nelle ‘raccomandazioni’ somiglia troppo alla tecnica adoperata in talune leggi – per tutte, la 194/1978 – che, prospettando deroghe in ‘casi particolari’, in realtà introduce un cambio di regime con immediata applicazione a chiunque, in violazione del principio di precauzione”.

Non manca inoltre la critica di coloro che pensano che con liberalizzazione dei farmaci per bloccare la pubertà degli adolescenti affetti da disforia di genere, l’AIFA non fa altro che assecondare la confusione di questi ragazzi, negando, di fatto, l’esistenza di una insopprimibile legge naturale e di un inarrestabile processo biologico da salvaguardare e rispettare.

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