Droga sversata nei fiumi rischia di uccidere le anguille

VEB

Da anni ormai, l’inquinamento da un lato e l’aumento dei prelievi per uso alimentare dall’altro stanno rapidamente impoverendo le riserve d’acqua dolce del pianeta, al punto da prosciugare interi fiumi, ma la cosa peggiore è che i pochi ancora rimasti, soprattutto quelli che attraversano le nostre città, sono sempre più inquinati.

Inquinamento, pesca, grandi dighe e canali artificiali sono le principali cause dello sconvolgimento di interi ecosistemi che si sono sviluppati nel tempo lungo i corsi d’acqua. La popolazione di animali viene decimata quotidianamente, così come la deforestazione fa terra bruciata della rigogliosa flora.

Il Rio Bravo o Rio Grande è il più importante confine naturale tra gli Stati Uniti e il Messico ed anche il fiume più inquinato al mondo: a causa della costruzione di dighe e canali di irrigazione per deviare le acque verso i campi coltivati e le città, gravi siccità hanno colpito l’area. Il volume del grande fiume diminuisce giorno per giorno, e le sue acque sono inquinate dagli scarichi di varie industrie.

Altro fiume  dir poco inquinato è l’Elk River (Virginia, Stati Uniti). La più grande e grave fuoriuscita di sostanze chimiche nel fiume Elk è avvenuta il 9 gennaio 2014, quando una schiuma (MCHM) utilizzata per lavare il carbone e rimuovere le impurità che contribuiscono all’inquinamento durante la combustione, è stata rilasciata nell’acqua. Dopo questo sversamento accidentale, più di 300 mila residenti in West Virginia sono rimasti senza accesso all’acqua potabile per settimane. Ancora oggi, l’equilibrio ambientale è compromesso.

Considerato tradizionalmente il fiume più lungo del mondo, anche il Nilo non è estraneo alla contaminazione. Ha visto estinguersi circa 30 specie diverse di pesci a causa di rifiuti organici e industriali scaricati deliberatamente in acqua.

Naturalmente anche i fiumi nostrani vivono una situazione simile, tra sversamenti illegali, sostanze plastiche, rifiuti di ogni sorta.

Ma a quanto pare nei fiumi che attraversano le grandi città c’è anche talmente tanta cocaina che le anguille rischiano di estinguersi: questo il tema di uno studio coordinato da Anna Capaldo dell’Università Federico II di Napoli, pubblicato da Science of the Total Environment.

I ricercatori hanno messo alcune anguille europee in delle vasche con una concentrazione di cocaina pari a quella trovata nei tratti urbani di alcuni fiumi, come ad esempio il Tamigi, analizzandone poi le carni.

Dopo pochi giorni di esposizione la droga si era accumulata nel cervello, nei muscoli, nella pelle e in altri tessuti. I muscoli in particolare sono risultati danneggiati e con cambiamenti negli ormoni presenti, e il problema è rimasto anche dopo dieci giorni di ‘riabilitazione’ in vasca senza cocaina.

“Abbiamo scelto le anguille perché sono considerate in pericolo di estinzione e per il fatto che sono pesci molti grassi, il che favorisce l’accumulazione delle sostanze – ha spiegato all’ANSA Capasso -. Questi animali affrontano migrazioni anche di 6mila chilometri, che richiedono riserve di energia e muscoli in perfetta salute per essere completate”.

E non sono mica solamente le anguille a rischiare, anzi. “Soprattutto i pesci stanziali – spiega – potrebbero avere conseguenze dalla presenza di cocaina nell’acqua a queste concentrazioni. Inoltre bisogna pensare che sono presenti anche molte altre sostanze pericolose, da altri stupefacenti a farmaci a metalli e l’effetto combinato è da valutare, cosa che vorremmo fare in uno studio successivo”.

Per quanto riguarda le possibili conseguenze per l’uomo del fenomeno la ricercatrice è cauta. “Abbiamo visto che c’è una certa bioaccumulazione nel muscolo, che è la parte che mangiamo – spiega – Non sappiamo però cosa succede quando l’animale muore, e l’effetto che ha la cottura. Anche qui servono altre ricerche”.

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