Hacking Team, questione etica e di sicurezza per i dati trafugati

VEB

“Non abbiamo nulla da nascondere circa ciò che stiamo facendo, e penso che in questi 400 gigabyte di dati non ci sia alcuna prova di una nostra violazione di una qualche legge”, dichiara il portavoce di Hacking Team, Eric Rabe, che sta cercato di difendere l’operato di Hacking Team e di rispondere alle accuse.

Naturalmente si parla della beffa che nei giorni scorsi ha colpito la nota azienda milanese, fornitrice di servizi di spionaggio informatico, a sua volta hackerata, con relativo furto di una mole incredibile di dati sensibili, che stanno facendo tremare in tanti, oltre ad alzare un polverone non trascurabile.

In primis dai dati sottratti, che sono stati pubblicati tramite i social network, sono emersi i rapporti che l’azienda ha intessuto con 36 stati stranieri, a cui ha fornito i suoi sistemi di spionaggio: tra questi paesi spiccano Egitto, Etiopia, Marocco, Nigeria, Sudan, Stati Uniti, Azerbaigian, Kazakistan, Corea del Sud, Thailandia, Uzbekistan, Vietnam, Germania, Ungheria, Italia, Russia, Spagna, Svizzera, Bahrein, Oman, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.

Inoltre i documenti trafugati rivelerebbero anche la capacità dell’Hacking Team di “entrare” in uno smartphone Android (da 2.3 a 5.0, preferibilmente con root), BlackBerry OS (da 4.5 a 7.1), Windows Phone (8.0 ed 8.1) o iPhone (da iOS 4.x a 8.1) su cui è stato eseguito il jailbreak, e “controllarlo”.

In pratica il furto di dati ha portato da un lato alla luce una problematica etica, perché fornire servizi di spionaggio a molti degli stati citati se non è illegale, è quantomeno poco ortodosso, e dall’altro ha reso note delle falle, che espongono quindi milioni di pc e smartphone a possibili altri attacchi informatici.

Ci vorranno settimane per venire a capo di tutto quanto è stato sottratto dal server della società milanese, e siamo certi che le sorprese non finiranno certo qui.

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