Uno studio recente pubblicato su “Neuropsychologia” ha rivelato che individui esperti in meditazione hanno la capacità di sospendere la propria coscienza per brevi momenti.
Questa pratica, già menzionata in testi antichi di oltre 2000 anni e conosciuta nel buddismo tibetano come “nirodha“, differisce dalle perdite di coscienza legate a condizioni negative come epilessia o anestesia. È la prima volta che tale fenomeno viene documentato scientificamente in relazione alla meditazione. I soggetti che praticano questa forma di meditazione mostrano alterazioni uniche nelle funzioni cerebrali e cognitive.
Gli scienziati hanno utilizzato l’elettroencefalografia (EEG) per osservare l’attività cerebrale di un meditatore 51enne, capace di perdere coscienza durante la meditazione. Durante 29 sessioni, il partecipante è riuscito a interrompere volontariamente la propria coscienza 37 volte, confermando la sua capacità di controllo.
Il soggetto dello studio possedeva un’ampia esperienza in meditazione, avendo dedicato oltre 23.000 ore a questa pratica. Questi risultati rappresentano una prova convincente della capacità dei meditatori di manipolare la loro coscienza.
Questa ricerca stimola una nuova riflessione tra gli scienziati riguardo le potenzialità e i limiti della coscienza umana, e come la meditazione avanzata possa influenzare il funzionamento del cervello. Apporta inoltre nuove prospettive per la comprensione dei meccanismi interni della coscienza e delle sue capacità di auto-controllo.