Nel cuore delle Ande peruviane, a oltre 5.300 metri di altitudine, esiste una città che sfida ogni logica di sopravvivenza: La Rinconada. Spesso definita “il luogo abitato più alto del mondo”, è anche conosciuta come “la città più vicina allo spazio”. Ma dietro questo primato si nasconde un’altra verità: è forse anche il posto più infernale della Terra, con un’aspettativa di vita media che non supera i 35 anni.

Una città nata dall’oro (e dal caos)
Negli ultimi decenni, La Rinconada è cresciuta in modo disordinato, spinta dalla corsa all’oro che ha attirato migliaia di cercatori provenienti da Perù, Bolivia e Brasile. Oggi ospita oltre 50.000 persone, stipate in baracche improvvisate fatte di lamiera e legno, senza acqua corrente, senza fognature, senza ospedali e con una delle peggiori qualità dell’aria del pianeta, secondo un’inchiesta di National Geographic.
Il sistema lavorativo nelle miniere è regolato dal cosiddetto “cachorreo”: per 30 giorni i lavoratori scavano senza alcuna retribuzione; il 31° giorno possono trattenere per sé tutto l’oro che riescono a trasportare in un solo viaggio. Una roulette russa quotidiana, aggravata da tunnel instabili, rischio di crolli e intossicazioni da mercurio.
Un ambiente tossico per corpo e mente
L’altitudine estrema riduce drasticamente la quantità di ossigeno disponibile. I nuovi arrivati lamentano emicranie acute, nausea, difficoltà respiratorie e uno stato di affaticamento costante. Gli abitanti sviluppano il soroche cronico, una condizione in cui il sangue diventa più denso e affatica il cuore. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, i bambini nati a La Rinconada hanno una capacità polmonare ridotta del 30% rispetto alla media globale.
L’assenza di un sistema sanitario funzionale rende difficile trattare anche malattie banali. Tubercolosi, anemia e polmonite sono diffuse e spesso letali. L’acqua è contaminata e i residenti, costretti a bere da fonti inquinate, accumulano metalli pesanti nel sangue.
Secondo studi pubblicati dalla United Nations Environment Programme (UNEP), l’uso incontrollato di mercurio per separare l’oro dal minerale rilascia nell’ambiente oltre 10 tonnellate al mese di questa sostanza tossica. I pesci locali presentano concentrazioni di mercurio fino a 250 volte superiori ai limiti considerati sicuri.
Sopravvivere (da donna) a La Rinconada
Per le donne, l’inferno è doppio. Molte lavorano come “pallaqueras”, rovistando nei resti delle miniere alla ricerca di scarti d’oro, spesso con neonati legati alla schiena. In condizioni estreme, affrontano temperature fino a -20°C e violenza diffusa, in un contesto privo di polizia o protezione sociale. Secondo Human Rights Watch, si stima che 6 donne su 10 subiscano abusi sessuali.
Ricchezza estratta, miseria lasciata
Nonostante La Rinconada produca ogni anno circa 10 tonnellate d’oro (pari a miliardi di dollari), nessuna ricchezza rimane in loco. Le miniere sono gestite da società informali che sottopagano i minatori. L’elettricità è rubata con cavi volanti, i prezzi dei beni essenziali sono triplicati e persino la neve sciolta viene venduta come acqua potabile.
I lingotti d’oro vengono trasportati in elicottero direttamente a Lima. Nel frattempo, gli abitanti combattono per sopravvivere tra cumuli di rifiuti tossici, baracche congelate e la costante minaccia del collasso fisico.
Un’illusione d’oro, una scommessa quotidiana
Ogni giorno nuove ondate di migranti e avventurieri arrivano, attratti dalla speranza di arricchirsi o dal fascino estremo del luogo. La maggior parte rinuncia dopo poche ore. Per chi resta, ogni giorno è una scommessa disperata: trovare abbastanza oro per fuggire prima che la montagna si prenda tutto — salute, sogni, vita.