Le “cinque fasi del lutto” sono un concetto ampiamente diffuso, spesso citato in film, serie TV e conversazioni quotidiane. Molti credono che queste fasi – negazione, rabbia, contrattazione, depressione e accettazione – rappresentino un percorso lineare e universale attraverso il quale ogni individuo affronta la perdita. Tuttavia, questa interpretazione popolare è spesso un fraintendimento del modello originale e delle scoperte successive.

L’Origine del Modello: Non Sul Lutto, Ma Sulla Morte
La teoria delle cinque fasi fu sviluppata dalla psichiatra svizzero-americana Elisabeth Kübler-Ross e presentata per la prima volta nel suo influente libro del 1969, “Sulla morte e il morire“. Kübler-Ross basò le sue osservazioni sul lavoro con pazienti terminali presso l’Università di Chicago.
Contrariamente alla credenza comune, le fasi non descrivevano originariamente il processo di elaborazione del lutto, ma piuttosto le reazioni psicologiche dei malati terminali di fronte alla propria imminente morte. Il fulcro del suo libro era come i progressi scientifici stavano modificando la percezione e l’approccio alla morte e al morire.
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Il modello divenne rapidamente celebre, portando a diverse interpretazioni e adattamenti, tra cui quello più noto sull’elaborazione psicologica del lutto. Fin da subito, la teoria fu oggetto di critiche da parte della comunità scientifica.
La stessa Kübler-Ross, nel suo libro successivo “Domande e risposte sulla morte e il morire” (1972), chiarì che le fasi non sono necessariamente lineari: le persone possono attraversarne più d’una contemporaneamente, saltarne alcune o riviverle in momenti diversi.
La ricerca successiva ha evidenziato come circa il 40% delle persone non elabora le perdite seguendo i processi delineati da Kübler-Ross, indicando una variabilità significativa nell’esperienza del lutto.
Evoluzione e Critiche al Modello di Kübler-Ross
Negli anni successivi, Kübler-Ross stessa ampliò e raffinò il suo modello, introducendo nuove fasi e sotto-fasi come shock, negazione parziale, speranza, senso di colpa, ansia e intorpidimento. Nel suo ultimo lavoro, scritto con David Kessler, l’approccio si evolse ulteriormente, applicando le fasi a perdite personali più ampie e giungendo alla conclusione che il processo riguardava, in ultima analisi, il superamento della paura del cambiamento e dell’ignoto.
Le critiche principali al modello si concentrano sul fatto che si basava prevalentemente sulle esperienze personali della psichiatra, maturate in un contesto culturale specifico, estrapolando conclusioni universali senza un adeguato supporto di ricerca empirica e prove concrete.
Nonostante ciò, le “cinque fasi del lutto” si sono radicate profondamente nella cultura popolare, creando talvolta aspettative irrealistiche. Spesso, pazienti ansiosi si rivolgono a psichiatri e psicologi preoccupati di non aver vissuto le fasi nell’ordine “corretto” o di averne saltata qualcuna, temendo che ciò indichi un problema psicologico.
In conclusione, sebbene il modello di Kübler-Ross abbia avuto un ruolo fondamentale nel portare la discussione sulla morte e il lutto nell’arena pubblica, è essenziale comprenderne l’origine e le limitazioni. L’esperienza del lutto è profondamente personale e complessa, e non esiste un percorso unico o “corretto” per affrontarlo.
Per approfondire l’argomento e sfatare ulteriori miti, si consiglia di consultare fonti autorevoli in psicologia e psichiatria:
- American Psychological Association (APA)
- National Institute of Mental Health (NIMH)
- World Health Organization (WHO) – Salute Mentale
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