L’idea che i nostri ricordi si dissolvano completamente con la morte è stata a lungo un dogma. Ma cosa succederebbe se la scienza stesse per ribaltare questa convinzione? Una ricerca recente sta scuotendo le fondamenta della neurologia, suggerendo che le nostre memorie potrebbero non svanire del tutto, aprendo scenari che finora abbiamo solo immaginato nella fantascienza.

Il Connettoma: Dove la Memoria Potrebbe Resistere
Per decenni, la morte è stata considerata la fine definitiva di ogni attività cerebrale e, di conseguenza, della memoria. Tuttavia, la comunità scientifica sta iniziando a esplorare una nuova prospettiva. Un sorprendente 70,7% dei neuroscienziati intervistati in un recente studio pubblicato su PLOS One ritiene che i ricordi possano, in linea di principio, persistere post-mortem in strutture cerebrali adeguatamente conservate.
Questa visione si basa sulla convinzione che i ricordi abbiano un substrato fisico, non solo un processo dinamico che cessa con la vita. Come spiega il Dott. Ariel Zeleznikow-Johnston della Monash University, autore dello studio, gran parte di queste memorie sarebbe immagazzinata nel “connettoma”. “Il connettoma è l’idea che ognuno di noi abbia un insieme unico di connessioni tra le nostre cellule cerebrali, tra i nostri neuroni che codificano i nostri ricordi e la nostra personalità”, ha dichiarato Zeleznikow-Johnston a IFL Science. Questo intricato “schema” delle connessioni neuronali potrebbe essere la chiave per comprendere la persistenza dei ricordi.
Il Futuro del Recupero dei Ricordi: Sfide ed Etica
La ricerca non si limita a un’ipotesi teorica. Circa il 40% degli specialisti coinvolti nello studio prevede un futuro in cui la tecnologia permetterà l’effettiva estrazione di questi ricordi da cervelli intatti o conservati. Le proiezioni sono affascinanti: si stima che entro il 2045 potremmo essere in grado di recuperare ricordi da ascaridi, entro il 2065 da cervelli di topi e, per gli esseri umani, questa impresa potrebbe diventare realtà entro il 2125.
Una delle maggiori sfide tecniche è la corretta conservazione del cervello. Le tecniche tradizionali, come il semplice congelamento, possono danneggiare il tessuto nervoso. Tuttavia, nuove metodologie avanzate, come la crioconservazione stabilizzata con aldeide, che combina fissativi chimici con la vetrificazione (trasformazione in un solido simile al vetro), potrebbero offrire una soluzione, prevenendo la formazione di cristalli dannosi. La comunità scientifica sta prendendo molto sul serio questa frontiera: la Aspirational Neuroscience ha offerto un premio di 100.000 dollari al primo team che riuscirà a decodificare un ricordo non banale da un cervello conservato.
Naturalmente, l’avanzamento in questo campo solleva profonde questioni etiche. Recuperare i ricordi significherebbe una mera ombra informativa di chi eravamo, o una vera continuità dell’essere? Chi avrebbe diritto su questi ricordi e quali verrebbero preservati? La convergenza con l’Intelligenza Artificiale avanzata potrebbe accelerare queste iniziative, ma ci spinge anche a riflettere sui confini tra la conservazione del patrimonio umano e la possibile disumanizzazione dell’esperienza di essere vivi.
La possibilità che i nostri ricordi possano in qualche forma persistere oltre la vita biologica è una delle ipotesi più intriganti e complesse della neuroscienza moderna. Mentre la ricerca continua a spingere i confini di ciò che crediamo possibile, è fondamentale accompagnare ogni progresso tecnologico con una profonda riflessione etica.
Per approfondire questo argomento e rimanere aggiornato sulle ultime scoperte, puoi consultare:
- PLOS One (per lo studio originale)
- IFL Science (per articoli divulgativi sulla scienza)
- Monash University (per le ricerche del Dott. Zeleznikow-Johnston)
Curiosa per natura e appassionata di tutto ciò che è nuovo, Angela Gemito naviga tra le ultime notizie, le tendenze tecnologiche e le curiosità più affascinanti per offrirtele su questo sito. Preparati a scoprire il mondo con occhi nuovi, un articolo alla volta!