I primi passi, la prima parola, il volto dei nostri genitori nei primissimi anni di vita. Sono momenti fondamentali, eppure, per la maggior parte di noi, sono avvolti in una nebbia fitta. Questo fenomeno, noto come amnesia infantile, affascina da decenni neuroscienziati e psicologi, che cercano di capire dove finiscano i nostri primi ricordi.

Il cervello del bambino: una tabula rasa?
Per molto tempo, una delle teorie più accreditate sosteneva che i bambini semplicemente non formassero ricordi duraturi. L’ipotesi principale ruota attorno all’ippocampo, l’area del cervello cruciale per la formazione della memoria a lungo termine.
Nei primi anni di vita, l’ippocampo non è ancora completamente sviluppato. Secondo Nick Turk-Browne, professore di psicologia a Yale, “durante l’infanzia, [quest’area] raddoppia di dimensioni”. L’idea è che le nostre esperienze non possano essere immagazzinate in modo permanente perché i circuiti neurali necessari non sono ancora maturi. Mancando la struttura, il ricordo non può consolidarsi.
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I ricordi esistono, ma dove sono?
Ricerche più recenti stanno mettendo in discussione l’idea che i bambini non creino affatto ricordi. Anzi, sembra che il problema non sia la formazione, ma l’accesso a tali ricordi in età adulta. Uno studio condotto dallo stesso team del Prof. Turk-Browne ha dimostrato che l’ippocampo dei neonati mostra un’attività misurabile quando riconoscono un’immagine già vista. Questo suggerisce che i neonati formano una qualche forma di memoria già dopo il primo anno di vita.
Allora, che fine fanno questi ricordi? Catherine Loveday, neuropsicologa all’Università di Westminster, offre un esempio pratico: “Sappiamo che i bambini piccoli tornano a casa dall’asilo e ci raccontano qualcosa che è successo loro, ma poi, qualche anno dopo, non lo ricordano più”. I ricordi quindi si formano, ma svaniscono o diventano inaccessibili.
Uno studio pubblicato su Science nel 2014 ha rivelato che nei topi, l’alta produzione di nuovi neuroni durante l’infanzia (neurogenesi) favorisce l’apprendimento ma allo stesso tempo “pulisce” i vecchi ricordi per fare spazio ai nuovi. I nostri primi ricordi potrebbero essere semplicemente sovrascritti dalla rapida crescita del nostro cervello.
A complicare il quadro c’è il fatto che molti dei nostri “primi ricordi” potrebbero non essere autentici. Spesso sono ricostruzioni basate su racconti di famiglia e fotografie. Come spiega la Prof. Loveday, “se qualcuno ti dice qualcosa e tu hai abbastanza informazioni a riguardo, il tuo cervello può ricostruire qualcosa che sembra assolutamente reale”.
Il mistero dell’amnesia infantile è legato alla nostra stessa identità. Quel “buco nero” nei nostri primi anni ci ricorda quanto sia complesso e dinamico il processo di costruzione di noi stessi e della nostra storia personale.
Per approfondire ulteriormente le basi neuroscientifiche della memoria, puoi consultare pubblicazioni specializzate come Le Scienze o i portali di divulgazione di importanti istituti di ricerca.
FAQ – Domande Frequenti
Cos’è esattamente l’amnesia infantile? L’amnesia infantile è la naturale incapacità degli esseri umani adulti di ricordare eventi specifici (memorie episodiche) dei primi 2-4 anni di vita. Non si tratta di una patologia, ma di un fenomeno universale legato allo sviluppo neurologico e cognitivo del cervello.
A che età si forma il primo ricordo stabile? Generalmente, i primi ricordi autobiografici stabili e recuperabili in età adulta iniziano a formarsi tra i 3 e i 4 anni. Tuttavia, questo può variare molto da persona a persona. Prima di questa età, i ricordi sono più impliciti e legati a sensazioni o abilità.
I miei primissimi ricordi potrebbero essere falsi? Sì, è molto probabile. Molti “primi ricordi” sono in realtà ricostruzioni mentali basate su fotografie, video e storie raccontate dai familiari. Il cervello è abile nel creare una narrazione coerente che percepiamo come un ricordo autentico, anche se non lo è.
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