Negli ultimi anni, l’intelligenza artificiale è stata celebrata come la prossima grande rivoluzione del lavoro. Dalle risorse umane alla programmazione, fino al customer service, si è parlato di trasformazioni radicali, riduzioni di personale e cambiamenti strutturali. Ma un nuovo studio, pubblicato dal National Bureau of Economic Research (NBER), mette in discussione l’effettivo impatto dell’IA sul mercato del lavoro.

Uno studio su 25.000 lavoratori rivela un impatto minimo
Lo studio condotto in Danimarca ha analizzato 25.000 lavoratori in 7.000 ambienti professionali particolarmente esposti all’automazione, tra cui contabili, sviluppatori, operatori dell’assistenza clienti, insegnanti e consulenti finanziari. L’obiettivo? Capire se, e quanto, l’introduzione dell’intelligenza artificiale stia realmente cambiando il modo in cui lavoriamo e veniamo retribuiti.
I risultati sono stati sorprendentemente “modesti”. Secondo gli economisti Anders Humlum ed Emilie Vestergaard, autori della ricerca, i guadagni di produttività si sono tradotti solo in un risparmio medio del 3% del tempo lavorativo, mentre gli stipendi sono aumentati in media tra il 3% e il 7% per chi ha integrato strumenti di IA. Ma senza alcuna “trasformazione strutturale” delle dinamiche lavorative.
“I chatbot basati su IA non hanno avuto alcun impatto significativo sui guadagni o sulle ore di lavoro registrate in nessuna professione”, si legge nel documento.
L’IA non sta (ancora) sostituendo i lavoratori
Lo studio smentisce l’idea che l’intelligenza artificiale stia rapidamente sostituendo il lavoro umano. Secondo gli autori, non è stata osservata alcuna sostituzione sistemica di lavoratori, né una crescita significativa degli stipendi tra i cosiddetti “superlavoratori” che utilizzano l’IA in modo intensivo.
Questo contrasta nettamente con la narrazione dominante alimentata da media, aziende tech e analisi speculative. Una recente inchiesta del MIT Technology Review, ad esempio, aveva previsto che l’intelligenza artificiale avrebbe sostituito almeno il 20% delle mansioni nei settori amministrativi entro il 2026. Ma finora i dati reali sembrano raccontare un’altra storia.
Le aziende corrono, ma l’impatto economico è ancora debole
Nonostante i limiti evidenziati dallo studio, alcune aziende continuano a investire massicciamente nell’adozione dell’IA con l’obiettivo dichiarato di ridurre i costi. È il caso di CrowdStrike, società di cybersecurity che ha recentemente annunciato il licenziamento del 5% della propria forza lavoro, affermando di voler sostituire quelle mansioni con soluzioni di intelligenza artificiale.
Anche Duolingo, celebre piattaforma per l’apprendimento linguistico, ha comunicato l’intenzione di eliminare gradualmente collaboratori esterni, preferendo affidare alcune attività all’IA generativa. L’azienda ha giustificato la scelta con un parallelismo con il passaggio strategico al mobile avvenuto nel 2012.
Tuttavia, il report del NBER sottolinea che questi tagli potrebbero non tradursi automaticamente in un aumento dell’efficienza o della produttività nel breve termine, soprattutto nei settori a forte componente umana o relazionale.
Un futuro ancora da scrivere
Nonostante l’euforia iniziale, lo studio danese suggerisce che siamo ben lontani da una “rivoluzione” determinata dall’IA generativa. Questo non significa che il cambiamento non arriverà, ma che i tempi saranno probabilmente più lunghi e complessi di quanto previsto.
Come sottolinea anche il World Economic Forum nel suo ultimo Future of Jobs Report, l’automazione e l’IA cambieranno il lavoro “più attraverso l’evoluzione delle competenze richieste che attraverso la pura sostituzione dei lavoratori”. In altre parole, l’IA è uno strumento, non ancora un rimpiazzo.
Fonti autorevoli:
- National Bureau of Economic Research – Studio completo su AI e lavoro
- World Economic Forum – Future of Jobs Report 2023
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