Tumore al polmone, nuovo trattamento aumenta la sopravvivenza del 51%

VEB

Il tumore del polmone è la prima causa di morte per neoplasia nei paesi industrializzati. Le attuali stime italiane parlano di più di 38000 nuovi casi ogni anno: il fumo di sigaretta è la causa principale, ma vanno considerati anche l’asbesto, gli idrocarburi aromatici, il nichel, il cromo, le vernici e tutti gli agenti inquinanti ambientali e lavorativi.

Questa malattia da sola rappresenta il 15 per cento di tutti i tumori maligni nelle persone di sesso maschile, ma è purtroppo in aumento anche fra le donne in quanto da anni il vizio del fumo si è radicato anche nell’altro sesso.

Il tumore ai polmoni inizia generalmente con una lesione alla biforcazione dei bronchi, in seguito ad insulti ripetuti nel tempo da parte di agenti irritanti. A livello delle biforcazioni l’epitelio di rivestimento dei bronchi è particolarmente sensibile alle lesioni e la biforcazione stessa favorisce il deposito in sede degli agenti cancerogeni.

L’iniziale irritazione che ne consegue comporta la crescita di cellule secernenti muco, quale tentativo di difesa, ma con il tempo a queste cellule si sostituiscono cellule squamose stratificate e la loro evoluzione implica invariabilmente la disorganizzazione della mucosa bronchiale, con la nascita di atipie più o meno evidenti.

Se l’intero spessore della mucosa viene interessato da questo stravolgimento si parla di “carcinoma in situ”, primo stadio del tumore vero e proprio, che in seguito deborda dalla mucosa bronchiale e invade il parenchima circostante.

Tumore al polmone trattamento aumenta la sopravvivenza?

Due sono i tipi principali di tumore del polmone, che rispondono a oltre il 95 per cento delle diagnosi e si comportano e rispondono alle terapie in maniera piuttosto diversa. Si tratta del tumore polmonare a piccole cellule e del tumore polmonare non-a piccole cellule, che è il più frequente, dal momento che corrisponde a quasi l’85 per cento delle neoplasie di nuova diagnosi.

La scelta della terapia dipende innanzitutto dal tipo di malattia con cui si ha a che fare, così come dalle condizioni del paziente. L’intervento rappresenta l’opzione prioritaria quando si è di fronte a un paziente colpito da un tumore non a piccole cellule, purché la malattia sia in fase iniziale e non abbia quindi già dato origini a metastasi.

Il trattamento con farmaci chemioterapici – assunti per via orale o endovenosa – mira a sopprimere selettivamente le cellule cancerose e rimane quello maggiormente impiegato nei pazienti colpiti da un tumore del polmone. I farmaci più utilizzati sono i derivati del platino, i taxani, l’etoposide, il pemetrexed e la gemcitabina. La radioterapia prevede l’impiego di radiazioni ad alta energia per distruggere le cellule tumorali. Le moderne attrezzature consentono di indirizzare in modo estremamente specifico e preciso le radiazioni, risparmiando al massimo le strutture circostanti.

Grandi risultati, che lasciano ben sperare per un impiego sempre più ampio nel prossimo futuro, sta ottenendo una nuova terapia che riduce il rischio di morte addirittura del 51%.

Nello specifico, la combinazione di pembrolizumab, molecola immuno-oncologica, e chemioterapia migliora significativamente la sopravvivenza dei pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule (NSCLC) non squamoso metastatico di nuova diagnosi: lo confermano i risultati dello studio di fase III KEYNOTE-189 presentati al congresso annuale dell’American Association for Cancer Research (AACR), in corso a Chicago fino al 18 aprile. Lo studio è stato contemporaneamente pubblicato sull’importante rivista scientifica New England Journal of Medicine.

Il primo studio (KEYNOTE-189, di fase III), guidato da Leena Gandhi del Perlmutter Cancer Center presso la NYU Langone Health, ha coinvolto 616 pazienti di 118 centri: 405 sono stati trattati in prima linea con la combinazione di pembrolizumab e chemioterapia a base di platino e pemetrexed, mentre 202 pazienti hanno ricevuto solo le chemioterapie più un placebo. Sia il tasso di risposta, sia la sopravvivenza generale sia la sopravvivenza libera da malattia sono state di molto superiori nel gruppo di combinazione: dopo un follow-up mediano di 10,5 mesi, la sopravvivenza generale mediana non è stata raggiunta nel braccio di studio, mentre era 11,3 mesi nel braccio di controllo. La probabilità di morire è risultata ridotta del 51% (e fino al 58% nel sottogruppo con una alta espressione del marcatore PD-L1, che denota una mggiore risposta all’immunoterapia).

I dati di questo importante studio, a cui l’Italia ha offerto un grande contributo, dimostrano che la sopravvivenza globale dei pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule metastatico aumenta moltissimo con la combinazione pembrolizumab più chemioterapia in prima linea di trattamento – spiega la dott.ssa Marina Garassino, responsabile della Struttura Semplice di Oncologia Medica Toraco Polmonare presso la Fondazione IRCCS Istituto Nazionale di Tumori di Milano e ultima firma del lavoro del New England Journal of Medicine -. Questi risultati infatti hanno determinato la chiusura anticipata dell’analisi dello studio. Il trattamento immunoterapico con pembrolizumab in combinazione con la chemioterapia determina un effetto sinergico antitumorale attraverso il potenziamento della risposta immunitaria verso il tumore”.

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