Tumore al seno, sperimentata in Italia rivoluzionaria tecnica chirurgica

VEB

In Italia il carcinoma della mammella è il tumore maligno più comune nella popolazione femminile, rappresentando il 29% di tutti quelli che colpiscono le donne, ed è la prima causa di decesso per cause oncologiche (17% delle morti).

Il tumore del seno è una formazione di tessuto costituito da cellule che crescono in modo incontrollato e anomalo all’interno della ghiandola mammaria. La neoplasia in stadio iniziale si riferisce al cancro confinato nel tessuto adiposo del seno (Stadio 1).

Il tumore si può in seguito diffondere nelle immediate vicinanze (Stadio 2), estendere ai tessuti sottostanti della parete toracica (Stadio 3) e quindi ad altre parti del corpo (Stadio 4, tumore al seno metastatico o avanzato).

Le cause del tumore al seno non sono ancora ben conosciute. In generale, sono stati associati alla malattia diversi fattori di rischio come: età (la maggior parte dei casi viene diagnosticata in donne di età superiore a 50 anni), prima gravidanza dopo i 30 anni, menarca prima dei 12 anni, menopausa dopo i 50 anni, non aver avuto figli, familiarità. L’esposizione ambientale o lavorativa a sostanze chimiche, quali gli idrocarburi aromatici policiclici, le amine eterocicliche determinano un rischio aumentato di tumore mammario.

Anche l’esposizione a radiazioni prima dei 30 anni aumenta la probabilità di incorrere nel tumore, compresa la radioterapia impiegata per il tumore stesso.

Circa il 10% delle donne con tumore al seno ha più di un parente malato (soprattutto nei casi giovanili).  A determinare la malattia è anche una predisposizione genetica ormai riconosciuta. Vi sono anche alcune mutazioni genetiche che predispongono a questo tipo di tumore, le più note sono quelle a carico dei geni oncosoppressori BRCA-1 e BRCA-2, da cui dipende il 50% circa delle forme ereditarie di cancro del seno.

La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi di tumore al seno è andata sensibilmente aumentando negli ultimi anni, grazie ai progressi fatti dalla scienza medica; secondo i dati AIRC una diagnosi precoce (stadio 0) permette una sopravvivenza a 5 anni molto vicina al 100% delle donne, mentre all’aumentare della progressione la percentuale si riduce proporzionalmente.

Le opzioni terapeutiche per la cura del tumore alla mammella attualmente disponibili includono la chirurgia, la radioterapia, la chemioterapia, l’ormonoterapia e le terapie biologiche. Queste si possono usare da sole o in combinazione, in base allo stadio di avanzamento della malattia.

Ma per le donne malate c’è ora anche un’opzione in più: il primo utilizzo in Italia di una innovativa matrice (fra quelle in commercio) a rete acellulare di collagene di derivazione cutanea fetale bovina nella ricostruzione mammaria porta la firma di un calabrese.

Si tratta del chirurgo senologo-oncologo Domenico Gerbasi, originario di Spezzano Albanese (nel Cosentino) e attuale coordinatore della Breast Unit Bergamo Est (www.senologiabergamoest.it) con sede presso l’ospedale “Bolognini” di Seriate.

In contemporanea al Policlinico di Roma, Gerbasi ha effettuato un intervento su una donna con carcinoma mammario infiltrante che ha previsto la mastectomia con risparmio e conservazione del complesso areola-capezzolo con accesso periareolare superiore, ricostruzione immediata con impianto pre-pettorale di protesi mammaria definitiva, simmetrizzazione con la mammella controlaterale, utilizzando appunto questa matrice i cui effetti sono sorprendenti.

Il coraggio di cercare simili nuove alternative si dimostra una grande risorsa per la ricerca. Questo intervento, infatti, venne eseguito per la prima volta negli anni 70 ma venne abbandonato, perché senza l’uso delle moderne matrici presentava complicanze.

Infatti, oltre all’aspetto prettamente oncologico, grazie all’utilizzo di questa innovativa matrice a rete di collagene, ricoprendo la protesi è stato possibile l’impianto in sicurezza, non più in sede sottomuscolare come si fa routinariamente, ma in sede pre-pettorale, cioè ad occupare esattamente il posto della mammella appena asportata con un approccio, quindi, più naturale e meno aggressivo.

Il vantaggio di questo impianto, che rispetta maggiormente la naturale anatomia, si è anche  tradotto in un decorso postoperatorio molto favorevole, che ha richiesto una minima dose di antidolorifico e una dimissione precoce senza alcuna complicanza.

“Uno degli aspetti più importanti di questo intervento -afferma Gerbasi- è di tipo economico, per nulla da sottovalutare. Considerando che il costo di queste speciali matrici biologiche non è trascurabile, cui si aggiunge il costo della protesi in silicone, verrebbe immediatamente da pensare che la spesa per l’attività chirurgica ricostruttiva lievita enormemente rispetto al passato: non è così. Infatti -continua-, occorre tener presente che l’intervento tradizionale, dopo la mastectomia e la ricostruzione immediata con espansore (una protesi temporanea preparatoria alla definitiva), prevede sempre un secondo intervento per l’impianto della protesi definitiva in silicone al posto dell’espansore, dopo circa 1 anno”.

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