In queste ore si è appena concluso il congresso annuale dell’American Society of Clinical Oncology (Asco), a Chicago.
L’Asco è il più grande congresso al mondo sul cancro e, quest’anno, ha visto la partecipazione di quasi 40mila specialisti: non è facile riassumere le ricerche che hanno portato per ogni tipo di tumore, dai big killer a quelli rari o rarissimi.
Da regina l’ha però fatta la medicina di precisione. «La medicina di precisione sta profondamente trasformando la cura del cancro – ha detto il Presidente dell’Asco, Bruce Johnson -. E un numero sempre maggiore di persone potranno beneficiarne». E ha puntualizzato: «Medicina di precisione significa prendere in considerazioni le caratteristiche genetiche di una persona, la sua biologia, il suo stile di vita, l’ambiente in cui vive. E poi: i tratti distintivi del suo tumore, ancora una volta svelati dalla genetica, per prevenire, diagnosticare precocemente e curare al meglio la malattia».
Sono stati presentati decine di studi all’avanguardia, una speranza per migliaia di persone affette da carcinomi di ogni tipologia e gravità: queste tecniche, nel prossimo futuro, potranno salvare milioni di vite.
E già in questi ultimi anni sono stati fatti passi da gigante, nella cura e nella qualità della vita di quanti, dopo essersi sottoposti alle cure, sono tornati alla propria vita quotidiana.
Mariagrazia, una giovane donna di Gela, ad esempio, oggi ha 43 anni e quando ha scoperto di avere un tumore, nel 2015, aveva da poco avuto un figlio. Un’auto palpazione e la diagnosi immediata: carcinoma mammario.
Oggi, per fortuna, porta il suo sorriso contagioso tra i pazienti oncologici ed è diventata protagonista di un calendario fotografico.
«Giorni quasi tutti uguali, dal sapore dell’angoscia e del panico – ricorda -, ingoiati senza avvertirne il sapore. In ospedale incontrai anche i volontari dell’associazione Farc&C (Fondere Assistenza Ricerca Cancro & Cultura), che offrono supporto a pazienti e famiglie. Ne ero incuriosita ma il cancro divorava ogni mio tentativo di relazione. Volevo stare sola. Non mi sentivo forte né una guerriera. Non ho combattuto eroicamente. Ho pianto tantissimo, chiesto “perché a me”, sbattuto la testa al muro. Poi ho deciso che dovevo dare un senso al dolore e trasformarlo in un inno alla vita».
«All’uscita dal reparto – racconta – trattenevo ancora il respiro, feci le scale di corsa fino a fuori, mi tolsi la bandana incurante degli sguardi curiosi sulla pelata. Finalmente respiravo».
«Ritornai così a ritrovare i volontarie di Farc&C, i miei capelli stavano crescendo e non vomitavo più. Rientrare nel reparto di oncologia, stranamente mi faceva sentire a casa. Attraversavo il corridoio e salutavo tutti pensando: caspita sono viva», racconta ancora.
E qui che le nasce l’idea di aiutare a sua volta chi è in terapia, inizialmente con una chiacchierata e un sorriso, «poi piano piano con vere e proprie scenette da teatro, in cui faccio la buffona, mi travesto, ballo… Il tutto con l’obiettivo di riuscire a far dimenticare il tempo scandito dalla goccia di chemio che cade».
Da quel momento anche un calendario, con tutti gli abitanti di Gela che la supportano. Così, con i proventi ricavati dalla vendita, vengono acquistate delle poltrone per trattamenti chemioterapici sistemate in una stanza dell’ospedale di Gela.
“Lo so può sembrare strano, ma quelli seguiti alla malattia sono stati i miei anni più belli. Da allora – conclude Mariagrazia – posso dire di aver riempito di vita la mia vita”.