Oltre 250 milioni di anni fa, il nostro pianeta ha vissuto un cataclisma climatico senza precedenti: l’estinzione di massa del Permiano-Triassico. Un nuovo studio svela finalmente perché la Terra è rimasta intrappolata in una lunga era di calore estremo, e cosa possiamo imparare oggi da quell’evento devastante.
Circa 252 milioni di anni fa, il 94% delle specie marine e il 70% dei vertebrati terrestri scomparvero in quello che è oggi noto come la Grande Morìa, la più drammatica delle cinque estinzioni di massa della storia geologica. L’evento fu innescato da un’enorme eruzione vulcanica avvenuta nella regione oggi conosciuta come Siberia, che liberò nell’atmosfera quantità colossali di anidride carbonica (CO₂). Secondo Nature Communications, questa fase di eruzioni – le cosiddette Trappe Siberiane – riscaldò la superficie terrestre fino a +10°C rispetto ai livelli precedenti.
Ma ciò che ha sorpreso gli scienziati è stata la persistenza del riscaldamento per circa cinque milioni di anni. Perché la Terra non si è raffreddata come dopo eventi simili? La risposta, secondo i ricercatori, è da cercare nella scomparsa delle foreste tropicali.
Il collasso delle foreste tropicali e il blocco del ciclo del carbonio
Prima dell’estinzione, le foreste pluviali tropicali rappresentavano un pilastro fondamentale nel ciclo del carbonio, assorbendo CO₂ e contribuendo alla regolazione climatica. Tuttavia, il riscaldamento rapido uccise gran parte della vegetazione nelle zone equatoriali, lasciando un “vuoto ecologico” visibile anche nei reperti fossili.
Gli ecosistemi scomparsi furono sostituiti da forme di vita vegetale molto più semplici e meno efficienti nella fotosintesi, come i licopodi, alti solo pochi centimetri. Le foreste rigogliose tornarono gradualmente solo dopo milioni di anni, ma nel frattempo la produttività primaria netta del pianeta – ovvero la capacità di trasformare CO₂ atmosferica in biomassa – era drasticamente crollata.
Utilizzando un avanzato modello climatico, chiamato SCION, i ricercatori hanno dimostrato che proprio questa perdita di vegetazione contribuì a mantenere alte le temperature per un tempo straordinariamente lungo. Il sistema climatico rimase bloccato in uno stato di “super-serra” fino a quando il ciclo del carbonio non riprese con la ricolonizzazione vegetale.
Una lezione per il presente: i punti di non ritorno climatici
Nonostante la scala temporale dell’estinzione del Permiano-Triassico sia molto diversa rispetto ai cambiamenti climatici attuali, le analogie preoccupano gli esperti. Oggi stiamo assistendo a una rapida perdita di foreste tropicali – come l’Amazzonia – e a un’accelerazione delle emissioni di gas serra mai vista in epoca storica.
Come spiega lo studio, “la resilienza della vita ha dei limiti: superare certi punti di non ritorno può bloccare la Terra in stati climatici estremi per tempi lunghissimi”. Il messaggio è chiaro: la salvaguardia dei biomi tropicali non è solo una questione di biodiversità, ma di stabilità climatica globale.
Conclusione
La storia della “Grande Morìa” ci ricorda quanto il destino del clima sia intrecciato con la salute degli ecosistemi. Proteggere le foreste oggi significa evitare scenari di collasso ecologico che, una volta avviati, potrebbero essere impossibili da fermare per millenni.
👉 Per approfondire, visita:
- Nature Communications – Studio completo (in inglese)
- IPCC – Cambiamenti climatici e feedback ecologici
- NASA Earth Observatory – Climate Time Machine
Curiosa per natura e appassionata di tutto ciò che è nuovo, Angela Gemito naviga tra le ultime notizie, le tendenze tecnologiche e le curiosità più affascinanti per offrirtele su questo sito. Preparati a scoprire il mondo con occhi nuovi, un articolo alla volta!