Il tema dell’eutanasia continua a generare un acceso dibattito a livello globale, intrecciando questioni etiche, legali, religiose e culturali. In occasione di un recente incontro tenutosi al Brain Bar, conferenza internazionale dedicata a innovazione e pensiero critico, è stato approfondito se l’eutanasia rappresenti una forma di rispetto per la dignità umana oppure un atto in contrasto con i valori fondamentali della vita.

Un confronto tra visioni opposte: la dignità come scelta o come sacralità?
L’evento avrebbe dovuto ospitare anche Philip Nitschke, medico australiano noto per aver ideato Sarco, la capsula per il suicidio assistito, recentemente sperimentata in Svizzera. Tuttavia, la sua assenza – dovuta a un’indagine in corso nel Paese – ha reso il dibattito sbilanciato, con Judit Sándor, avvocato e bioeticista, come unica voce a favore dell’eutanasia.
Sándor ha sostenuto che il fine vita, se gestito nel rispetto della volontà e della sofferenza del paziente, può e deve rientrare tra i diritti della persona. Secondo la bioeticista, “il modo in cui moriamo è parte integrante della nostra storia di vita” e può riflettere la nostra dignità, specialmente quando si è affetti da patologie irreversibili e dolorose. Un approccio condiviso da numerosi esperti e istituzioni in Europa, come riportato nel documento del Comitato di Bioetica del Consiglio d’Europa, che incoraggia una riflessione su morte dignitosa e cure palliative.
La prospettiva religiosa e filosofica: il valore inviolabile della vita
Dall’altra parte del tavolo, voci come quella del rabbino capo Slomó Köves e del filosofo János Frivaldszky hanno ribadito una visione opposta. Köves ha evidenziato la posizione dell’ebraismo: la vita è un dono del Creatore e va preservata fino alla fine. Qualunque intervento attivo volto a porre fine all’esistenza è considerato moralmente inaccettabile.
Frivaldszky, invece, ha messo in guardia contro la crescente ambiguità tra le diverse forme di eutanasia – attiva, passiva, assistita – sottolineando come queste possano minare il valore della vita umana e il ruolo spirituale del morente. Per lui, la sofferenza è parte del percorso umano, e gli ultimi momenti possono rappresentare occasioni profonde di perdono e riconciliazione.
Eutanasia e giurisprudenza: una regolamentazione ancora frammentata
La questione della regolamentazione legale dell’eutanasia è centrale. Paesi come Olanda, Belgio, Svizzera e Canada hanno introdotto forme di eutanasia legalizzata, con protocolli rigorosi e garanzie di consenso informato. Tuttavia, molti Stati europei e gran parte del mondo rimangono contrari, anche per il timore che un’apertura possa incentivare derive eticamente discutibili.
Sándor ha ricordato casi in cui, in assenza di normative chiare, si sono verificati episodi di esclusione terapeutica ai danni di pazienti anziani o fragili. Una tendenza che, secondo lei, non ha nulla a che fare con la dignità, ma piuttosto con logiche di risparmio sanitario o discriminazione.
Nel mondo medico, il dibattito è altrettanto acceso. Organizzazioni come l’American Medical Association restano ufficialmente contrarie al suicidio assistito, sostenendo che esso contraddica il ruolo del medico come custode della vita (fonte). Al contrario, l’associazione britannica Dignity in Dying promuove leggi che permettano un fine vita volontario e consapevole in condizioni estreme.
Eutanasia: tra libertà di scegliere e rispetto per la vita
In definitiva, l’eutanasia rappresenta un terreno etico complesso dove si confrontano la libertà individuale, la dignità personale e la sacralità della vita. Mentre per alcuni è l’estrema forma di autodeterminazione, per altri è un pericoloso scivolamento verso una società che non tutela i più deboli.
Come ha evidenziato il dibattito del Brain Bar, la riflessione sul fine vita non ha risposte semplici e richiede un equilibrio delicato tra compassione, etica medica e norme giuridiche. Un tema destinato a rimanere centrale nelle agende bioetiche e legislative dei prossimi anni.