Fegato, un vaccino per far regredire il tumore

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Il fegato è il più grande organo del corpo ed è fondamentale per il mantenimento di uno stato di buona salute: rimuove le sostanze di scarto dal sangue e produce la bile e molti enzimi necessari alla digestione.

Ma, purtroppo, come tutte le altre parti del corpo, può essere colpito da neoplasia, e ben poche sono così insidiose come quelle che colpiscono proprio questo organo.

I tumori primari del fegato (cioè quelli nati nell’organo e non provocati da cellule staccatesi da altri tumori e migrate fino al fegato, le cosiddette metastasi) hanno per lo più inizio dalle cellule interne dell’organo, chiamate epatociti. In questo caso si parla di carcinoma epatocellulare o, più raramente, di epatoma; questi tumori tendono a diffondersi alle ossa e ai polmoni.

Più spesso, tuttavia, le neoplasie che colpiscono il fegato sono secondarie, cioè derivano da tumori che nascono altrove (per esempio nel colon, nella mammella o nel polmone).

Quello al fegato è un cancro abbastanza raro, ma molto aggressivo. L’alto tasso di mortalità è legato alla generale assenza di sintomi negli stadi iniziali (non a caso è noto come tumore silenzioso), e all’inefficacia dei trattamenti (comunque capaci di migliorare la qualità di vita).

Via via che la malattia si diffonde, iniziano a comparire i sintomi specifici, tra i quali il dolore alla parte superiore dell’addome, che si può irradiare anche alla schiena e alle spalle, l’ingrossamento del ventre, la perdita di peso e di appetito, la nausea, il vomito, la sensazione di sazietà, la stanchezza, l’ittero (ovvero il colore giallo della pelle), la colorazione scura delle urine e la febbre.

Una volta che si è accertata la presenza di un tumore del fegato, il medico effettua la stadiazione, cioè la definizione del grado di malignità e di espansione del tumore finalizzata alla programmazione della cura (in genere utilizza il sistema TNM). Nel caso del tumore del fegato, questa fase è particolarmente importante per decidere se è possibile o meno procedere per via chirurgica, perché la maggior parte dei tumori epatici non può essere rimossa con il bisturi.

Fegato vaccino per far regredire il tumore

Una vera e propria cura si ottiene solo quando la malattia è identificata nelle fasi precoci e solo se il paziente si trova in uno stato di salute abbastanza buono da poter affrontare un intervento chirurgico che è sempre impegnativo. Gli approcci non chirurgici possono comunque avere un ruolo nell’evitare che la malattia si diffonda.

Rispetto ad altre neoplasie, questa ha percentuali di guarigione ancora basse: solo il 16,1% è vivo a cinque anni dalla diagnosi.

Ma una speranza arriva da un nuovo vaccino innovativo, la cui sperimentazione è appena iniziata proprio qui in Italia: dal 12 gennaio 2018 è infatti attivo presso l’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria lo studio clinico di fase I-II HEPAVAC-101, che valuta per la prima volta nell’uomo il vaccino IMA970A, un prodotto innovativo specifico nei confronti dell’epatocarcinoma.

L’epatocarcinoma è il tumore maligno del fegato più frequente e questo vaccino ha lo scopo di indurre una risposta immunitaria tale da ritardare il ripresentarsi del cancro o favorire un’ulteriore regressione dello stesso dopo il trattamento locale.

Allo studio clinico di fase I e II Hepavac-101, finanziato dall’Unione Europea, partecipano numerosi centri europei. Per quanto riguarda l’Italia è coinvolto, oltre all’ospedale di Negrar (in collaborazione con l’Università dell’Insubria), anche l’Istituto Nazionale Tumori “Pascale” di Napoli.

La sperimentazione è riservata ai pazienti con epatocarcinoma in fase iniziale (ad uno stadio molto precoce, precoce ed intermedio), che sono candidati ad un trattamento locale (intervento chirurgico, termoablazione o ablazione mediante radiofrequenza e microonde, chemioembolizzazione, radioembolizzazione).

Gli esperti ci tengono a sottolineare che questa è una sperimentazione piuttosto importante, anche in considerazione del fatto che solo lo scorso anno in Italia si sono registrati ben 13mila casi, e nel mondo si parla di 750mila diagnosi ogni anno. A 5 anni dalla diagnosi la sopravvivenza è del 20 per cento.

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