Mafia, i pentiti non si sentono adeguatamente protetti

VEB

La notizia forse non ha avuto la dovuta risonanza mediatica, data la concomitanza con la forte scossa di terremoto che ha creato molti danni e disagi nel catanese, ma nelle scorse si è consumato un efferato omicidio, che dice molto anche sull’attuale “sistema giustizia” italiano.

Nello specifico, il fratello del collaboratore di giustizia Marcello Bruzzese è stato ucciso da 2 killer a volto coperto che gli hanno esploso contro 30 colpi di pistola mentre parcheggiava nel garage sotto casa: l’uomo si trovava a Pesaro, sotto protezione.

Una protezione che evidentemente non ha funzionato, e così altri pentiti della Mafia vogliono ora far sentire la loro voce, per urlare quanto non si sentano più al sicuro.

“Diciamoci la verità, io sono un morto che cammina… Il fratello del collaboratore che è stato ammazzato a Pesaro è solo il primo. Temo un effetto domino.

Oggi, domani, o tra un mese, potrei essere ucciso anche io. O un mio familiare. Perché non siamo protetti. E se continua così, tanto vale tornare in Sicilia, senza alcuna protezione”, fa sapere un ex mafioso di Bagheria, che oggi vive con la sua famiglia in una località protetta del Centro Nord.

Sotto protezione è solo un modo di dire – spiega – perché nessuno di noi collaboratori di giustizia, con i suoi familiari, è realmente protetto. Io sono in una località segreta, è vero. Ma senza alcuna scorta, o un’auto che passa davanti casa mia. Sulla villetta, in periferia, c’è scritto il mio nome e il mio cognome”.

Perché ha mantenuto la vera identità? “Me lo hanno consigliato gli stessi funzionari del Servizio di protezione – dice – perché anche per avere i contributi lavorativi sarebbe stato un problema in futuro. O per l’iscrizione a scuola di mio figlio“.

Più che un servizio di protezione, sono un servizio di posta, perché portano la posta – purtroppo è la verità. Non siamo protetti. Portano solo le notifiche…“, ha chiosato.

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