Sonniloquio, una parasonnia più diffusa di quel che si crede

VEB

Più noto con la locuzione “parlare nel sonno” che lo descrive, il sonniloquio è una parasonnia, come il sonnambulismo e il bruxismo.

Chi ne soffre non ricorda di aver parlato durante il sonno la mattina successiva, eppure può diventare molto fastidioso se si condivide la stanza o il letto con un’altra persona.

Le frasi, le parole o i monologhi pronunciati in genere non rispondono ad alcuno stimolo esterno, sono un prodotto dell’inconscio e forse del sogno che la persona sta facendo in quel momento. Anche se facciamo una domanda a una persona che parla nel sonno e questa ci risponde, è probabile che le sue parole siano incoerenti e fuori luogo.

Il sonniloquio viene considerato lieve se gli episodi si verificano sporadicamente, moderato se si presentano più volte a settimana e grave se si parla nel sonno ogni notte e ciò provoca continui risvegli in chi dorme nella stessa camera.

Diverse aree cerebrali si attivano e si inibiscono a mano a mano che superiamo le varie fasi del sonno, che sono 5 in totale: addormentamento (fase 1), sonno leggero (fase 2), sonno profondo (fase 3 e 4) e fase REM (fase 5). Il sonniloquio può verificarsi durante l’ultima fase, ma anche nelle fasi di sonno profondo.

Quando l’episodio accade nella fase di sonno Rem, in genere il soggetto pronuncia frasi di senso compiuto, mentre durante il sonno profondo è più frequente che si manifesti con grugniti o farfugliamenti incomprensibili.

Il Sonniloquio può essere presente sin dai primi anni dell’infanzia (si stima che quasi la metà dei bambini tra i 3 e i 10 anni parli frequentemente durante il sonno) o può presentarsi più in là negli anni, in concomitanza con un evento scatenante come lo stress, la depressione, una forte febbre o una privazione di sonno.

Sonniloquio, una parasonnia più diffusa di quel che si crede

sonniloquio molto diffuso

Uno studio francese pubblicato sulla rivista Sleep ha selezionato 232 volontari afflitti da parasonnie, cioè disturbi del sonno, e ha studiato le loro reazioni. I ricercatori hanno così registrato 883 episodi di parlato nel sonno: il 59% degli episodi era riferibile a borbottii, urla, risate e sussurri. Ma gli studiosi sono riusciti a captare anche 3349 parole intellegibili.

I più «chiacchieroni» sono risultati gli uomini e la parola più detta è stata «no», o comunque negazioni e poi domande. Il 10% delle parole dette sono risultate essere insulti, generalmente non rivolti ad un interlocutore preciso. Quando i volontari sono entrati nella fase REM, tuttavia, gli insulti sono stati rivolti chiaramente a persone ben identificabili. Secondo i ricercatori, inoltre,  il somniloquio è più frequente nelle persone che vivono una situazione di conflitto a casa o comunque nella vita.

Questo lavoro di ricerca ha permesso ai ricercatori di affermare che quando si parla nel sonno vengono utilizzati gli stessi circuiti cerebrali che di giorno permettono di rispettare una certa sintassi, la semantica e di aspettare che l’interlocutore ci risponda.

Non esiste un trattamento che curi il sonniloquio, ma se il disturbo persiste nel tempo e crea imbarazzo o disagio è bene parlarne con il medico di fiducia che potrà prescrivere esami per approfondire la questione.

È comunque  importante non sottovalutare ripetuti episodi di sonniloquio, soprattutto se si è anziani, perché possono indicare una malattia neurologica, come il Parkinson.

In generale, si possono applicare delle accortezze per cercare di limitare il fenomeno. Prima di andare a dormire sarebbe utile rilassare il corpo con una doccia o un bagno caldo. Non cenare troppo tardi, non sgranocchiare snack dolci nel dopo cena. Prepararsi bevande rilassanti come una tisana.

Quando si è nel letto spegnere definitivamente ogni apparato tecnologico, non è sufficiente disattivare il wifi dello smartphone perché la tentazione di riaccenderlo dopo pochi minuti è sempre molto alta, bisogna spegnerlo e lasciarlo in cucina. Ed infine, eliminare il vizio di addormentarsi con le cuffie nelle orecchie ascoltando musica.

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