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Tornano dallo spazio dopo 9 mesi: Gli effetti della microgravità sul corpo umano

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Il 18 marzo, gli astronauti della NASA Barry “Butch” Wilmore e Sunita “Suni” Williams sono atterrati nel Golfo del Messico, al largo della Florida, dopo aver trascorso nove mesi a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS). Ma il ritorno sul pianeta Terra è tutt’altro che semplice. Le prime immagini del loro rientro mostrano corpi visibilmente provati, segno evidente dell’impatto che un lungo soggiorno nello spazio può avere sull’organismo umano.

Tornano dallo spazio dopo 9 mesi Gli effetti della microgravità sul corpo umano
foto@Nasa

Atterraggio difficile: il corpo deve “reimparare” la gravità

Non appena la capsula Dragon di SpaceX ha toccato l’acqua, i due astronauti sono stati estratti su barelle e trasferiti immediatamente al Johnson Space Center, a Houston, per una serie di controlli medici approfonditi. Dopo quasi un anno senza gravità, il corpo umano ha bisogno di tempo per riabituarsi alla forza gravitazionale terrestre.

Nel vuoto spaziale, l’assenza di gravità provoca un profondo cambiamento nella fisiologia umana: liquidi corporei come sangue e liquido cerebrospinale tendono a spostarsi verso la parte superiore del corpo, causando gonfiore al viso e pressione su occhi e cervello. Questo fenomeno è noto come Sindrome Neuro-Oculare Associata ai Voli Spaziali (SANS) e può provocare vista offuscata, edema del nervo ottico e, nei casi più gravi, danni permanenti alla vista.

Visi scavati e muscoli atrofizzati: il prezzo della vita nello spazio

Le foto del “prima e dopo” diffuse dopo l’atterraggio parlano chiaro: visi più magri, occhi infossati e segni di evidente perdita di massa muscolare. Anche con programmi di allenamento giornalieri a bordo della ISS – che includono corsa su tapis roulant e pesi a resistenza elastica – la microgravità indebolisce soprattutto la muscolatura delle gambe, portando alla cosiddetta “sindrome delle gambe da astronauta”. Questo rende difficile persino mantenersi in piedi nei primi giorni dopo il rientro.

Un altro rischio poco noto ma pericoloso è la Trombosi Venosa Spaziale (SVT). Proprio come se si restasse a testa in giù per mesi, l’accumulo di fluidi nella parte alta del corpo può favorire la formazione di coaguli di sangue, con potenziali conseguenze gravi su cuore, polmoni o cervello.

Equilibrio compromesso, nausea e disorientamento

Il ritorno alla normalità è un processo graduale. Nei primi giorni a Terra, anche le azioni più semplici come camminare o stare in piedi diventano sfide fisiche. Il sistema vestibolare, responsabile dell’equilibrio, entra in crisi dopo mesi senza punti di riferimento gravitazionali. I sintomi più comuni sono vertigini, nausea e senso di disorientamento.

Come raccontò nel 2016 l’astronauta britannico Tim Peake, anche lui reduce da sei mesi sulla ISS:

“Mi sentivo davvero male nei primi giorni. Il corpo ha bisogno di tempo per riadattarsi alla gravità terrestre.”

La riabilitazione post-volo: un processo delicato

La NASA stima circa 45 giorni per un recupero fisico completo, grazie a programmi di fisioterapia intensiva. Tuttavia, in alcuni casi, la riabilitazione può richiedere mesi o perfino anni. Wilmore e Williams stanno affrontando test neurologici, analisi cardiache e sedute di riabilitazione muscolare per ricostruire forza, equilibrio e coordinazione.

Durante la missione, gli astronauti seguono una dieta ipercalorica da oltre 3.000 calorie al giorno per compensare la perdita di massa e il metabolismo accelerato. Ma ciò non basta: la perdita di peso e la fragilità fisica sono quasi inevitabili.

Un passo verso Marte: studiare gli effetti per proteggere i futuri esploratori

Nonostante le sfide, le missioni di lunga durata nello spazio sono fondamentali per preparare la specie umana a viaggi interplanetari, come le future missioni su Marte. Ogni ritorno a casa rappresenta un’occasione preziosa per raccogliere dati clinici, analizzare campioni di sangue, eseguire esami di imaging e perfezionare le procedure mediche.

Per Wilmore e Williams, questa missione è conclusa. Ma per la medicina spaziale, ogni rientro è un’opportunità per spingere oltre i limiti della scienza e proteggere gli astronauti del futuro.

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