Una nuova scoperta archeologica potrebbe cambiare radicalmente ciò che pensavamo di sapere sull’Antico Egitto. In una regione dell’attuale Sudan, chiamata Tombos, gli archeologi hanno trovato prove che mettono in discussione una convinzione radicata da secoli: le piramidi egizie non erano un privilegio esclusivo dei faraoni e dell’élite.

Le recenti ricerche rivelano che anche persone comuni – probabilmente lavoratori – venivano sepolti all’interno di queste imponenti strutture, solitamente considerate simbolo del potere e della ricchezza dei sovrani egizi. Questa scoperta apre nuovi scenari sulla gerarchia sociale e sulle pratiche funerarie dell’epoca.
Piramidi egizie: non solo tombe reali
Fino ad oggi sono state identificate oltre 110 piramidi tra l’Egitto e i territori un tempo conquistati, coprendo un arco di circa 3.000 anni di storia. Secondo l’opinione prevalente, queste piramidi erano riservate esclusivamente a faraoni, sacerdoti e nobili. Ma gli scavi effettuati a Tombos, un’antica città nubiana, raccontano una storia diversa.
Conquistata intorno al 1500 a.C. dal faraone Thutmosi I, Tombos rimase sotto il dominio egiziano per circa quattro secoli. In questo periodo, la cultura locale si fuse con quella dell’Impero, dando origine a usanze ibride, anche in campo funerario.
Il lavoro dell’archeologa Sarah Schrader
A guidare le ricerche sul sito è stata l’archeologa Sarah Schrader dell’Università di Leiden, nei Paesi Bassi. Da oltre dieci anni, Schrader analizza i resti umani ritrovati all’interno delle piramidi di Tombos. E proprio studiando questi scheletri, il suo team ha notato elementi sorprendenti.
Molti resti mostrano segni chiari di un’intensa attività fisica: ossa consumate, articolazioni usurate e muscoli sviluppati. Queste caratteristiche sono tipiche di persone che svolgevano lavori manuali pesanti, come scavare, trasportare carichi o lavorare nei campi. Altri scheletri, invece, mostrano una vita più sedentaria, associata ai ceti sociali più elevati.
Piramidi aperte anche alla gente comune?
Lo studio, pubblicato sul Journal of Anthropological Archaeology, sostiene che le piramidi di Tombos non ospitavano solo l’élite, ma anche persone di basso rango. “I dati suggeriscono che le tombe piramidali, ritenute a lungo riservate alla classe alta, potessero includere anche lavoratori comuni”, affermano i ricercatori.
Inizialmente, il team era confuso dai risultati. Schrader stessa ammette: “Non capivamo cosa significassero quei dati. Abbiamo probabilmente dato per scontato per troppo tempo che le piramidi fossero esclusivamente per i ricchi”.
Alcuni esperti hanno ipotizzato che quei resti potessero appartenere a nobili in buona forma fisica. Tuttavia, Schrader smentisce questa ipotesi, spiegando che in altri siti egizi, le élite mostrano segni legati ad attività come la caccia o l’equitazione, ma non a sforzi ripetitivi e fisicamente logoranti. I dati di Tombos, invece, parlano chiaro: quei resti appartenevano a persone abituate a fatiche quotidiane.
Un uso diverso delle piramidi nelle province
Questa scoperta assume un significato ancora più interessante se considerata nel contesto storico. Intorno al 1500 a.C., le famiglie reali egiziane avevano già abbandonato le piramidi come luoghi di sepoltura, preferendo tombe scavate nella roccia, come quelle del celebre Valle dei Re. Ma in zone periferiche come Tombos, le piramidi continuarono ad essere usate – stavolta, sembra, con un approccio più inclusivo.
Probabilmente, questa pratica rifletteva un modo per integrare meglio le popolazioni locali nel sistema egiziano, concedendo anche ai non nobili un accesso a simboli di prestigio e sacralità.
Una nuova prospettiva sull’Antico Egitto
La presenza di lavoratori comuni sepolti in piramidi apre una nuova finestra sulla società egizia antica. Indica che la rigida struttura gerarchica dell’Impero poteva essere più flessibile in alcune regioni lontane dal potere centrale.
Ogni scoperta come questa contribuisce a ridisegnare il nostro immaginario sul passato. E Tombos, un piccolo insediamento dimenticato per secoli, dimostra che le sabbie del deserto hanno ancora molte storie da raccontare.